«Il fatto non costituisce reato per l’aiuto al suicidio e non sussiste per l’istigazione al suicidio per la morte di Davide Trentini».
Questa la decisione della Corte di Assise d’Appello di Genova che assolve in appello Marco Cappato e Mina Welby, accusati di istigazione al suicidio per la morte di Davide Trentini.
Ma facciamo un passo indietro. Davide Trentini ha 53 anni ed è affetto da sclerosi multipla dal 1993. La sua malattia è a decorso cronico progressivo, dunque nessuna possibilità di miglioramento o di guarigione. È incapace di svolgere qualsiasi tipo di attività motoria e per sopravvivere ricorre ad una complicata terapia farmacologia e di operatori medico-sanitari.
Io non riesco a fare autonomamente niente. Neanche allacciarmi una scarpa, passo tutto il giorno a fare le stesse cose: in bagno, a fumare thc oppure sdraiato. Ho solamente dolori e basta, senza nessuna speranza di guarire. Sono sempre più frequenti e forti.
Davide Trentini, 53 anni.
È così che Davide Trentini contatta l’associazione Luca Coscioni, per essere aiutato ad accedere alla morte volontaria in Svizzera. Qui conosce il tesoriere dell’associazione, Marco Cappato, e la co-presidente, Mina Welby, che lo aiutano a svolgere le procedure burocratiche, prima, e a recarsi in Svizzera, poi.
«Mi chiamo Davide e sono qui in Svizzera per porre fine a tutti i miei dolori», dichiara in un videomessaggio il 12 aprile 2017, il giorno prima di porre fine alla sua vita. Il suo ultimo pensiero prima della morte va all’Italia, alla speranza che un giorno possa diventare un paese “civile” e garantire il diritto all’eutanasia ai suoi cittadini, senza che questi debbano affrontare faticosi spostamenti in Paesi stranieri.
Il giorno dopo l’eutanasia, avvenuta il 13 aprile 2017 nella clinica Lifecircle di Liestal, in Svizzera, Marco Cappato e Mina Welby si sono auto-denunciati ai Carabinieri, come forma di protesta e di disobbedienza civile.
La Corte aveva deciso per l’assoluzione in base a quanto stabilito nella sentenza della Consulta per l’analoga vicenda di Dj Fabo, con le differenze che nel caso di quest’ultimo si trattava di un’infermità che costringeva il malato a rimanere attaccato ai macchinari di sussistenza. Nel caso di Trentini, invece, non vi era il sostegno di macchine, quanto più di farmaci e trattamenti sanitari. Questo problema bioetico è stato giudicato inconsistente dai giudici massesi, secondo i quali
per trattamento di sostegno vitale deve intendersi qualsiasi trattamento sanitario alla cui interruzione conseguirebbe, anche se non in maniera rapida, la morte
Un grande passo in avanti, dunque, per la battaglia ad ottenere una legge garantisca il diritto all’eutanasia in Italia e che modifichi l’art. 580 del codice penale, dove viene detto che “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”. La Corte Costituzionale dopo il processo Cappato / Dj Fabo, ha dichiarato parzialmente illegittima la norma. Sarebbe dunque il momento di una nuova regolamentazione che permetta agli italiani di porre fine alle proprie sofferenze circondati dalla propria famiglia e dai propri cari, anziché in un Paese straniero.
Autore
Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.