Il governo italiano trova sempre nuovi modi per infastidire il potere giudiziario, anche quello Europeo. Soprattutto quando si parla di immigrazione, è ormai evidente il disprezzo che questo governo riserva nei confronti del pilastro dei diritti umani in Europa: la Convenzione Europea sui diritti dell’uomo (Cedu).
A margine dell’ultimo Consiglio Europeo, la Premier aveva annunciato la riunione delle delegazioni di 27 Stati membri del Consiglio d’Europa per discutere la possibilità di modificare la Cedu, in quanto ostacolo nella gestione dei flussi migratori.
Successivamente, nel maggio 2025, Giorgia Meloni e la prima ministra danese Mette Frederiksen – esponente socialdemocratica nota per la sua linea dura sull’immigrazione – hanno inviato ai giudici della Corte di Strasburgo una lettera, sostenuta anche da Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia. Nella lettera si accusava la Corte di aver interpretato in modo eccessivamente ampio la Convenzione europea, riducendo così, secondo i firmatari, la possibilità per i governi democratici di adottare misure necessarie alla tutela della sicurezza dei propri cittadini.
La riunione annunciata dalla Meloni si è poi tenuta il 5 novembre a Palazzo Chigi e sembrerebbe essere stata propedeutica al Comitato dei ministri di Strasburgo che si terrà il 10 dicembre, dove il Segretario generale del Consiglio d’Europa presenterà una dichiarazione politica sulla questione. Al momento non ci sono notizie circa le modifiche che verrebbero proposte ma è chiaro l’intento politico: un’azione ostile dell’esecutivo nei confronti dei tanto odiati giudici che hanno limitato le politiche anti-immigrazione del governo. È una battaglia meloniana che parte contro le corti nazionali e si estende oggi a livello europeo, trovando terreno fertile nel Consiglio d’Europa.
Ancora una volta il vero focus non è gestire i flussi, ma delegittimare gli strumenti giuridici che tutelano i migranti.
Questa deriva si inserisce perfettamente nel contesto politico europeo, dove anche Bruxelles – in nome dell’efficienza – ha avanzato una proposta di regolamento allarmante. La cosiddetta “Return Regulation”, il nuovo regolamento sui rimpatri proposto dalla Commissione europea a marzo di quest’anno.
Uno degli aspetti più controversi della proposta è l’introduzione dei cosiddetti “return hubs”. Il regolamento consente agli Stati membri dell’UE di stipulare accordi con Paesi terzi per istituire centri di detenzione per il rimpatrio – i return hubs – nei quali collocare i migranti dopo la decisione definitiva di rimpatrio. L’elemento inquietante è che la proposta permette di trasferire in questi centri anche persone che non hanno alcun legame con il Paese terzo. Un soggetto può essere quindi “rimpatriato” in un centro di detenzione localizzato in un Paese terzo che non è né il suo paese d’origine né un paese in cui ha precedentemente transitato.
Su questo, Generazione ha chiesto il parere di Gianfranco Schiavone – già membro del direttivo dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati. Secondo Schiavone, i “return hubs” configurano un sistema potenzialmente illegale, poiché il regolamento non stabilisce limiti di detenzione, standard minimi di assistenza legale e sanitaria, né procedure in caso di mancato rimpatrio. “Queste persone vengono spedite al buio” afferma, paragonando tali accordi a una vera e propria “vendita di esseri umani”: un meccanismo attraverso il quale lo Stato inviante cede – tramite compenso – ogni responsabilità sul migrante al Paese terzo, rinunciando di fatto a garantire il rispetto dei principi sanciti dalla Cedu.
Lo scenario è molto preoccupante: si andrebbe oltre il già controverso principio di esternalizzazione delle frontiere, arrivando a una vera e propria cessione totale della responsabilità a Paesi terzi, nei quali – a differenza dei centri in Albania – lo Stato inviante non eserciterebbe più alcuna forma di giurisdizione.
La Meloni si è resa leader di un progetto europeo inquietante: con la proposta di modifica della Cedu mira a erodere ulteriormente i diritti delle persone migranti e dei richiedenti asilo, già costrette a muoversi in un sistema intricato, dominato da logiche securitarie e scarsamente orientato alla tutela della dignità umana. Ancora più evidente è la sua missione, quasi vendicativa, contro il potere giudiziario nazionale e sovranazionale, colpevole di aver più volte messo in discussione le sue politiche migratorie, in particolare l’accordo con l’Albania.
Proprio i centri italo-albanesi rappresentano il laboratorio di ciò che Bruxelles ora vuole legittimare nel resto dell’UE attraverso la proposta di regolamento sui rimpatri. Con una differenza sostanziale: l’Unione Europea sembra voler andare persino oltre quel modello, immaginando un sistema dove la gestione dei rimpatri rischia di trasformarsi in un meccanismo di appalto totale a Paesi terzi senza garanzie per la tutela dei diritti dei migranti.