C’è politica anche in questi europei di calcio (e c’è sempre stata)

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Non è certo passata inosservata la netta presa di posizione di Killian Mbappe in vista delle imminenti elezioni francesi. Il giovane fuoriclasse, fresco di passaggio al Real Madrid, ha invitato i suoi concittadini a recarsi alle urne il prossimo 30 giugno e a farlo in funzione anti-Le Pen. «Ci troviamo in un momento molto importante della storia del nostro Paese», ha dichiarato Mbappe durante la conferenza stampa precedente la gara contro l’Austria, appellandosi in particolar modo alle giovani generazioni, di cui fa parte, il cui tasso di astensione alle ultime elezioni francesi del 2022 è stato del 46% nella fascia tra i 25-34 anni e del 42% tra i 18 e i 24 (dati Eurostat).

«Spero che saremo ancora orgogliosi di indossare questa maglia il 7 luglio», ha detto in riferimento alla data dell’eventuale ballottaggio.

Sport e politica

Le parole di Mbappe sono arrivate in seguito alle dichiarazioni, sulla stessa linea, dei compagni di squadra Marcus Thuram, Ousmane Dembele, Benjamin Pavard e non è certo il primo caso nella storia in cui calciatori e sportivi in generale hanno preso posizioni politiche, con dichiarazioni o semplici, ma forti, gesti.

Zinedine Zidane si è più volte espresso contro l’allora Front National, prima nel 2002 quando Jean Marie Le Pen superò il primo turno delle presidenziali, e di nuovo nel 2017, quando Marine Le Pen si apprestava a sfidare Macron. Rimanendo nel paese transalpino, l’ex compagno di squadra di Zidane, Lilian Thuram, è dal 2010 ambasciatore Unicef contro il razzismo. Critico con Macron quanto con Le Pen, ha recentemente dichiarato al Corriere della Sera «È (sempre, ndr) Front National, è l’estrema destra. A volte si cambia nome per far credere di aver cambiato i concetti, e far dimenticare chi si è realmente. Sono sempre quelli che parlano di “noi” e “loro”».

La lista degli sportivi restii all’indifferenza è lunga. Come dimenticare eroi antifascisti quali Bruno Neri, mediano di Fiorentina e Torino che nel 1931 fu l’unico calciatore della “viola” a non fare il saluto romano all’inaugurazione dello Stadio Franchi, alla presenza di gerarchi fascisti. O l’austriaco Matthias Sindelar, che contrario all’Anschluss e fortemente antinazista, si esibì in un’esultanza irrisoria dinanzi ai gradi nazisti in occasione dell’l’ultima partita Austria-Germania prima dell’assorbimento della prima nella seconda. Bruno Neri sarebbe morto da partigiano sull’appennino tosco-romagnolo, mentre Sindelar venne trovato morto poco dopo quella partita.
Simile, per quanto in contesti differenti, è la storia di Paolo Sollier, centrocampista piemontese che nel 1976 alzò il pugno chiuso di fronte a Umberto Agnelli in uno storico Perugia-Juventus. Sollier viveva di calcio e politica, ed è probabilmente in Italia l’esempio più lampante di calciatore militante, un archetipo che oltreoceano hanno rappresentato su tutti Maradona e il brasiliano Socrates. Nota è l’amicizia dell’argentino con Fidel Castro e più in generale la sua sfida continua alle ingiustizie e all’imperialismo.

Socrates durante il periodo della Democrazia Corinthiana


Con Socrates, centrocampista brasiliano, Maradona condivideva non solo una vita piena di eccessi, ma un impegno politico costante. Socrates fece parte di quel Corinthians che nel 1982 sperimentò l’autogestione, dando vita alla c.d. Democrazia Corinthiana. La squadra, oltre a non avere più una gerarchia, cominciò ad inviare messaggi politici al Paese, tra cui l’invito a votare per le prime elezioni multipartitiche dal 1964, scendendo in campo con la scritta “Dia 15 vote” sulla schiena. Quando approdò a Firenze, alla domande dei giornalisti italiani su Mazzola e Rivera rispose: «Non li conosco. Sono qui per leggere Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio».

Nel mondo del pallone, Romero Lukaku e Megan Rapinoe sono senz’altro le figure “moderne” più esposte su temi politici. Il calciatore belga si è più volte espresso contro il razzismo, tanto negli stadi quanto fuori, mentre Megan Rapinoe, calciatrice statunitense, ha fatto della lotta alle discriminazioni razziali e verso la comunità LGBTQI+ parte rilevante di una carriera con poche eguali nel calcio femminile. Quando vinse il mondiale nel 2019, stesso anno del pallone d’oro, rifiutò di recarsi alla Casa Bianca, per non ricevere la medaglia da Donald Trump.

Passando ad altri sport, Muhammad Ali è senza dubbio lo sportivo militante per eccellenza. Paladino dei diritti civili, strenuo difensore dell’emancipazione per gli afroamericani, amico fraterno di Malcom X, obiettore di coscienza. Mentre nel 1973 batteva per la seconda volta Joe Frazier al Madison Square Garden, dall’altra parte degli USA, a Houston, Billie Jean King, tennista femminista, schiacciava 6-4 6-3 6-3 Bobby Riggs, nella partita passata alla storia come “la battaglia dei sessi”. King guidò il gruppo di tenniste che si oppose alla disparità di premi e stipendi tra donne e uomini, in uno sport in cui anche l’Italia passò alla storia per un gesto epocale, sebbene non “capito” subito dalla stampa. Sul campo di Santiago de Chile, in occasione della finale di Coppa Davis ‘76 vinta contro i padroni di casa, il duo Panatta-Bertolucci scese in campo con la maglietta rossa in sostegno del popolo cileno vittima della dittatura di Pinochet, che proprio in quello Stadio aveva recluso e torturato oltre 7 mila prigionieri politici. 

È del resto inverosimile pensare allo sport come slegato dalla politica. Nel bene e nel male. Riccardo Brizzi e Nicola Sbetti ne parlano ampiamente nel libro Storia della coppa del mondo di calcio, dove sottolineano come regimi come quello fascista si siano serviti dello sport in funzione totalitaria. Mussolini fece del ciclismo, e poi del calcio, parte integrante della sua propaganda, per non citare poi le varie creazioni del “ventennio”, dall’Opera Nazionale Balilla al sabato fascista.

Il peso delle parole

Quando personaggi del calibro dei campioni citati si schierano su certi temi, l’effetto è ovviamente dirompente. Il seguito che hanno certi sportivi è tale che non possono che non muovere le coscienze e/o semplicemente aprire un dibattito nell’opinione pubblica, in particolar modo oggi con i social network che fanno da cassa di risonanza non indifferente.

Non a caso alle parole di Mbappe hanno fatto seguito risposte e critiche, più o meno velate, ma tutte orientate sulla titolo di parola di uno dei calciatori più pagati al mondo. Il candidato premier del Rassemblement National, Jordan Bardella, ha risposto a tono a Mbappe e compagni, scagliandosi contro «milionari» che «danno lezioni a chi non arriva alla fine del mese». Anche il portiere basco della nazionale spagnola, Unai Simon, interrogato sul tema, ha espresso la sua perplessità, sostenendo come i calciatori dovrebbero limitarsi a parlare di «pallone» e lasciare i «temi politici ad altre persone e entità». Curioso per un calciatore che gioca in una delle squadre più politiche d’Europa e del mondo, l’Athletic Bilbao, dove per scelta giocano solo calciatori baschi.

Tutto è politica, e non si comprende bene perché la professione e lo stipendio di una persona dovrebbero determinarne la facoltà a prendere determinate posizioni. Nell’epoca dell’individualismo più cinico , e della sfiducia crescente nella democrazia rappresentativa, Mbappe ha dimostrato un autorevole senso civico. Mbappe non ha solo invitato alle urne, ma ha ricordato che vi sono delle priorità rispetto a una competizione come l’Europeo di calcio, che pur per un calciatore ha un valore immenso. La sua non è solo una posizione contraria all’ascesa dell’estrema destra, dunque, ma un invito al proprio popolo a non rimanere a casa il 30 giugno e ad esercitare il proprio diritto di voto. Per dirla alla Paolo Sollier: «non si vive solo di calcio».

Lo sport aiuta a distrarsi dai ritmi forsennati della vita, ma ritenere che chi vi partecipa debba correre e sudare senza prendere posizioni politiche, come se vivesse in un mondo parallelo, è un’idea alquanto superficiale e che prende di mira il singolo sportivo senza riflettere veramente sui temi sollevati. Senza ammettere poi che forse, nella Francia attuale e non solo, uno dei calciatori più forti al mondo scuote e trascina molto più di un politico. 
«Bisogna avere il senso delle priorità. Oggi possiamo vedere molto chiaramente che coloro che hanno visioni estreme sono sull’orlo del potere, e abbiamo l’opportunità di scegliere il futuro del nostro Paese. È per questo che invito tutti i giovani ad andare a votare, per rendersi conto davvero dell’importanza della situazione. Dobbiamo identificarci con i nostri valori, che sono valori di diversità, tolleranza e rispetto, innegabilmente. So che molti giovani dicono “Sì, ma un voto non cambierà nulla”. Al contrario, ogni voto conta, ed è una cosa da non trascurare. Spero davvero che faremo la scelta giusta». Breve e coinciso, ma dritto al punto. Anche in conferenza stampa, Mbappe ha mostrato il suo talento, segnando uno dei gol più importanti della sua carriera.

Autore

Nato nel 1999 tra Marche e Romagna, nonchè tra mare e collina, amo viaggiare, scoprire nuove culture, leggere di tutto ma soprattutto di storia e politica. Ho vissuto in Inghilterra e Spagna e studiato Scienze Internazionali e Diplomatiche. Amo la musica, lo sport e le piccole cose.

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