Come Meloni ha raccontato il suo primo anno di governo

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Nell’interpretazione del linguaggio contano i criteri che si adottano nella decodifica: scegliendo quali aspetti illuminare di una parola, associata ad un concetto, si stabilisce automaticamente un significato specifico tra quelli possibili. La selezione di un termine piuttosto che di un altro non è mai neutrale, anzi, spesso è il prodotto di una riflessione consapevole, soprattutto quando si ha la necessità di comunicare le proprie idee per raggiungere degli obiettivi, ottenere dei risultati. 

Nel procedere all’analisi dell’operato di Giorgia Meloni in questo primo anno al governo,ci vengono in aiuto gli strumenti offerti dalla linguistica, che scientificamente portano in risalto le strategie di comunicazione della Presidente del Consiglio. 

Partiamo dalla fine, ovvero dall’ultimo video di Giorgia Meloni pubblicato sui canali ufficiali di Fratelli d’Italia. Non potendo partecipare, in presenza, alla convention del partito, organizzata in occasione del primo anniversario della sua presidenza, la leader esprime la propria vicinanza ai sostenitori tramite un messaggio, che analizzeremo punto per punto, attraverso cui potremo ricostruire lo stile comunicativo della Premier e grazie al quale saremo in grado di riassumere i principi fondamentali della propria agenda politica.

Il suo videomessaggio apre con delle scuse: Meloni giustifica la propria assenza dichiarando di essere al Cairo, per una conferenza internazionale sulla «difficile crisi in Medio Oriente». È interessante osservare come la Presidente si rivolga ai suoi ascoltatori instaurando con loro una sorta di dialogo: «se state guardando questo video significa che non sono riuscita a partecipare di persona e davvero mi dispiace da morire, ma in fondo anche io sono un essere umano e se c’è qualcuno a cui posso chiedere comprensione, beh, penso che siano i simpatizzanti e dirigenti di Fratelli di Italia». A tal proposito, si l’uso di espressioni come «mi dispiace da morire» e «anche io sono un essere umano» sono utilizzate per creare vicinanza emotiva con il proprio ascoltatore, al quale si rivolge direttamente, pur non essendoci una conversazione reale. 

Meloni descrive come «giorno storico» il 22 ottobre 2022, data del suo insediamento a Palazzo Chigi, per il governo di centro-destra, per gli italiani e per l’Italia, che per la prima volta nella sua storia vedeva una donna alla guida: «ad un anno di distanza sono fiera di noi, della nostra comunità politica […] sono fiera anche di me stessa, concedetemelo, perché dopo un anno di governo posso guardarmi allo specchio e vedere ancora la stessa identica persona». 

Nella comunicazione di Meloni, è ricorrente la presenza della prima persona plurale: si ricordi l’uso, in campagna elettorale, dello slogan ‘Pronti’, che non a caso rimanda al concetto di pluralità tramite il morfema –i-. Un anno dopo, da un Noi inclusivo emerge un Io esclusivo, che Meloni descrive in termini quasi epici, come un soggetto che, nonostante le difficoltà, e con «qualche ruga in più», è riuscito a non cambiare e a essere sempre uguale a se stesso: «ho camminato a testa alta ovunque, non sono scesa a compromessi, ho fatto sempre e solo quello che ho reputato giusto fare, anche quando bisognava pagarne lo scotto, perché è così che noi siamo cresciuti». L’uso della prima persona singolare, in quest’ultimo periodo, è predominante: Meloni occupa il centro della scena, in cui accoglie, alla fine, anche l’ascoltatore, con un Noi che però appare soffocato da quest’Io ingombrante. 

Meloni si dice fiera dei risultati raggiunti, ma non li cita, passando la palla ai propri ministri. La leader dichiara di aver governato, in quest’ultimo anno, «nelle peggiori delle situazioni possibili», ma non specifica il perché, e neppure rivela quali sono stati gli errori commessi dal proprio governo, che descrive come «inevitabili». 

Il merito del centrodestra, spiega Meloni, sarebbe stato quello di aver riportato al governo «l’Italia vera», sfruttando – a questo proposito – le implicazioni, attraverso cui un interlocutore può comunicare delle informazioni anche senza citarle apertamente. In altre parole, sostenendo di aver riportato nelle posizioni che contano «l’Italia vera», Meloni, pur non dichiarandolo, giudica come «falsa» quell’Italia governata dai suoi avversari, ora all’opposizione. Questa posizione è poi resa esplicita poco dopo, attraverso una serie di affermazioni con cui Meloni crea una distanza netta fra sé e la Sinistra, colpevole di aver «umiliato» l’Italia, in particolare quella del «lavoro», del «merito», «dell’intraprendenza imprenditoriale», «della famiglia», «l’Italia di quelli che si sono sempre rimboccati le maniche, ma sono stati scavalcati da furbi e privilegiati in una società nella quale per andare avanti dovevi far parte del giro giusto di amicizie» e «l’Italia di quelli che per una vita si sono chiesti come si facesse a sperperare così miliardi di euro buttati al vento gratuitamente». 

Notiamo come Meloni abbia costruito una cornice polarizzante, che oppone ad un Noi, restauratore di un’«Italia vera», un Voi, colpevole del declino progressivo del paese. In questo contesto costituito da opposizioni nette, la premier elenca le parole chiave del proprio programma politico: «merito», «famiglia» e «intraprendenza imprenditoriale». 

Non manca, inoltre, un chiaro riferimento al Reddito di Cittadinanza. Meloni, infatti, distingue coloro i quali lavorano duramente da chi, invece, non lo fa, con i primi costretti a pagare le tasse per «dare la paghetta a chi non ha voglia di farlo» e i secondi che vivono sulle spalle altrui. Una definizione fortemente ideologica, che riduce una misura sociale ad una «paghetta», come se lo Stato fosse un genitore e i cittadini i suoi figli indisciplinati. Si tratta di una concettualizzazione non casuale che legittima, agli occhi di chi ascolta, la scelta di eliminare un sostegno che – adottando questa prospettiva – non andrebbe offerto a coloro che non fanno nulla per meritarselo. 

È un tentativo di framing, quello di Giorgia Meloni, la quale realizza un’operazione linguistico-cognitiva che consiste nell’inquadramento di un certo concetto secondo una prospettiva specifica, evitando così un altro tipo di narrazione non congeniale ai suoi piani, ma che pure è possibile, se ad esempio evitassimo di pensare al lavoro come l’unica attività della nostra vita in grado di conferire alla persona dignità e valore sociale, tramite un sistema di coordinate costituite dal merito e dall’impegno. Dichiarare, in modo decontestualizzato e parziale, che i cittadini pagano le tasse per finanziare queste misure, significa fissare una relazione di causa-effetto che non sussiste e che anzi mistifica la realtà: il reddito di cittadinanza è certamente finanziato dai cittadini, ma non tutti i contributi versati dai cittadini sono stati utilizzati per finanziare il Reddito di Cittadinanza.

Procedendo all’analisi delle sue dichiarazioni, notiamo che il linguaggio, mai asciutto o grigio, diventa con il passare dei minuti, sempre più metaforico e, potremo dire, liturgico. Meloni rivela i suoi obiettivi, ammette la necessità di riformare ciò è che necessario riformare, «senza guardare in faccia a nessuno», e designa il proprio partito come «nemico da battere». 

Quanto al lessico, evidenziamo come Meloni faccia costantemente utilizzo di parole che rimandano al campo semantico della forza, della grandezza, dell’orgoglio e della guerra. Coerentemente alla propria storia di partito, la presidente del consiglio fa uso di termini identitari. Parola chiave è certamente l’Italia, intesa come Stato, ripetuta anaforicamente e descritta in termini umani, tramite personificazione, attribuendole quelle caratteristiche fisiche che Meloni aveva utilizzato per sé: «un’Italia con la schiena dritta e sguardo fiero», quasi a voler creare una identificazione fra la propria persona e la Nazione. 

Meloni descrive gli obiettivi raggiunti come «straordinari» e «inimmaginabili», ma anche in questa occasione preferisce rivolgersi ai «meschini» avversari politici, anziché elencare almeno un esempio di risultato ottenuto. 

Il videomessaggio di Meloni termina con un appello ai propri elettori: l’invito è di non avere paura e di adottare la sua posizione, «schiena dritta, sguardo rivolto verso l’alto e sorriso sul volto». È in questo modo che si potrà volare alto, mentre «gli altri continuino a rotolarsi nel fango». Con un «vi voglio bene e scusatemi ancora» la premier di Fratelli d’Italia conclude il suo intervento, terminando così come aveva iniziato, ovvero rivolgendosi al proprio pubblico, utilizzando parole d’affetto e di vicinanza. 

Per concludere, sintetizziamo quanto abbiamo osservato in precedenza. 

Nel trarre un bilancio del primo anno di governo, e con un linguaggio che sfrutta gli strumenti della linguistica, dalle metafore alle anafore, passando per il framing e le implicazioni, Meloni dà ampia visibilità ai principi fondamentali su cui si fonda il proprio partito: orgoglio, prova di forza, identità, coesione. A un Noi, che accoglie in sé l’Io della presidente e i suoi sostenitori, è opposto sistematicamente un nemico, che riflette, come in uno specchio, la propria condizione di «meschinità» attraverso gli occhi di chi oggi è al governo (commenta Meloni). 

Non sono stati fatti riferimenti a temi specifici, ad esempio relativi all’imminente bilancio oppure all’immigrazione. È delineata, in generale, una postura, fisica e metaforica, da adottare in ogni ambito, dalla politica interna alla politica estera: tutte le questioni, infatti, sono connesse da un filo rosso, riconducibile alla persona di Giorgia Meloni.

Autore

Delia Starace

Delia Starace

Autrice

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