Sono passati più di venti anni e non c’è ancora una spiegazione, nonostante qualsiasi ragione sarebbe incomprensibile. Incomprensibile perché quello che è accaduto è ancora oggi una delle pagine più buie della storia della nostra Repubblica.
I fatti del G8 di Genova, Amnesty International li ha giustamente definiti «la più assurda sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale». Le cariche sui cortei autorizzati ed innocui, l’uccisione di Carlo Giuliani, la mattanza di Bolzaneto, la notte cilena nella scuola Diaz, non avranno mai una giustificazione. E fino ad ora non hanno avuto neanche dei colpevoli.
Una premura ingiustificata e la profezia dei Servizi Segreti
Era il 2000 e D’Alema, Presidente del Consiglio, fissa il G8 a Genova per il luglio 2001. Nel frattempo cambia il governo e presiede il Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi che nomina Scajola come Ministro dell’Interno. Il nuovo governo era pronto ad accogliere i grandi del mondo a Genova, per discutere di globalizzazione e di mercato comune.
Gli argomenti del G8 muovevano l’opinione pubblica. Infatti, migliaia e migliaia di manifestanti sarebbero arrivati a Genova per protestare contro un mondo che alimentava la miseria con la scusa di combatterla. Già nel maggio si cominciava a parlare in tv di G8, di ipotetici scontri pericolosi e di possibili attentati.
I mezzi di comunicazione nei mesi precedenti crearono attorno al G8 e ai suoi dimostranti un’atmosfera di tensione. La BBC trasmise un servizio in cui si diceva che le forze dell’ordine italiane avevano acquistato 200 body bag, i sacchi in cui vengono messi i cadaveri. L’informazione non cessava di inasprire il clima attorno all’evento e la tv mostrava ai cittadini italiani nuove armi e gas con cui le forze dell’ordine li avrebbero protetti dai dimostranti.
Ad alimentare questa cupa atmosfera, un mese e mezzo prima circa della convocazione per il G8, precisamente il 5 giugno 2001, viene ritrovato davanti Palazzo Chigi un documento dei Servizi Segreti, in cui venivano riportate delle sensazioni negative circa il prossimo avvenimento internazionale. Nello specifico, si diceva che era stato un gesto incosciente affidare ad Ansolino Andreassi, un’estremista di sinistra, il comando delle operazioni di sorveglianza dell’ordine pubblico e che con molta facilità sarebbe potuto accadere che un giovane poliziotto del reparto mobile, magari inesperto o esausto, avrebbe sparato ad un manifestante, se in preda alla paura.
Genova sotto assedio dai reparti militari
Aumenta la tensione. Undicimila uomini, tra cui un nucleo speciale antisommossa, sarebbero stati impiegati a protezione della città di Genova. Soprattutto dai Black Bloc, un’associazione di anarchici, in cui si infiltravano ultras e teppisti, che si erano fatti conoscere qualche anno prima nelle manifestazioni contro la guerra del Golfo e nella riunione del Fmi a Praga come un gruppo estremamente violento. Collin Clyde, un noto esponente, diceva: «Prima di noi le proteste erano terribilmente noiose».
Qualche giorno prima dell’arrivo dei leader internazionali esplodono due pacchi bomba: uno in una caserma, l’altro nella redazione del Tg4. Un’atmosfera infuocata, nonostante ad organizzare tutti i cortei dei manifestanti presiedeva il Genova Social Forum, un’organizzazione pacifica che rifiutava qualsiasi tipo di violenza.
La città era divisa in tre zone: due in cui era possibile far sfilare i cortei, la terza, dove si teneva il G8, era completamente blindata. Nelle proteste erano moltissime le persone coinvolte: il Genova Social Forum, alcuni gruppi cattolici, altri pacifisti, alcuni che protestavano per lo sfruttamento intensivo dell’Africa.
Cominciano le manifestazioni, partono i cortei e Genova diventa teatro di una guerra e di un massacro tenuto dalle forze dell’ordine. I motivi? Inspiegabili. La quasi totalità dei manifestanti esercitavano civilmente il loro diritto a manifestare.
Soltanto gli anarchici neri avevano avviato delle proteste a modo loro. Piazza Danovi è il luogo in cui s’innesca un caos che terminerà soltanto due giorni dopo. Lì i Black Block devastano la piazza. Così, dal comando centrale arriva l’ordine di repressione. Nel frattempo, i violenti, vestiti di nero e con un grande cartellone con scritto “smash“, si spostano verso Piazza Manin, dove ci sono i manifestanti bianchi, quelli col grado più basso di pericolosità che tengono legalmente il loro corteo.
Con i Black Bloc arrivano anche camionette e molte forze dell’ordine, che, inspiegabilmente, travolgono tutti, indistintamente, compresi i manifestanti autorizzati del Genova Social Forum. I “palmi bianchi” dell’associazione pacifista Lilliput, nonostante alzino le mani in segno di innocenza più che di resa, sono brutalmente assaliti da polizia e carabinieri. Anche le tute bianche, un movimento della sinistra extraparlamentare, che stavano percorrendo via Tolemaide in 15.000, si ritrovano faccia a faccia con i reparti mobili, a cui era stato ordinato di raggiungere il carcere di Marassi. Nonostante fosse pervenuto un invito del dottor Gaggiano a far passare le tute bianche, queste si scontrano con i carabinieri dotati di alcune Land Rover Defender.
L’omicidio di Carlo Giuliani, la mattanza di Bolzaneto e l’irruzione nella Diaz
È in questo momento che avviene il primo tragico episodio dei fatti di Genova. Un gruppo esiguo di manifestanti che si trovavano dall’altro lato dei Defender partì all’assalto di queste camionette, ormai simbolo delle forze dell’ordine che assurdamente avevano attaccato civili. All’improvvisom dalla mano di Mario Placanica, giovane poliziotto, partono due colpi di pistola che uccidono Carlo Giuliani. Immediatamente la situazione assume una piega diversa, un filmato ritrae il corpo del ragazzo morto accerchiato e il vicequestore Lauro che accusa un dimostrante di aver ucciso Giuliani con un sasso: «Bastardo! Lo hai ucciso tu, lo hai ucciso! Bastardo! Tu l’hai ucciso, col tuo sasso, pezzo di merda! Col tuo sasso l’hai ucciso! Prendetelo!»
Ovviamente non è andata così, non è andata neanche come decretava la sentenza del 2005 e come in tanti vollero far credere ai cittadini italiani, ai genitori del povero Giuliani. La camionetta vicino cui viene ritratto da una foto Giuliani non era immobilizzata ed isolata, come si diceva inizialmente, era vicina ad altri mezzi delle forze dell’ordine e poteva essere messa in moto, tant’è che per fuggire passa ben due volte sul corpo del giovane Carlo.
È soltanto il primo dei tentativi di insabbiamento che si sono verificati in quei giorni a Genova. Dopo l’omicidio del giovane Carlo, Genova Social Forum sceglie, comprensibilmente, di non cessare le manifestazioni. Il giorno successivo erano in arrivo altre migliaia di manifestanti, i cortei non potevano smettere di far sentire la propria voce. Proseguono le proteste sulla linea del giorno precedente e, nuovamente, le forze dell’ordine, nel tentativo di placare i Black Bloc, caricano la folla.
Manifestanti regolari che sfilavano in luoghi consentiti sono travolti con idranti, storditi con gas lacrimogeni, percossi con manganelli in grado di rompere letteralmente le ossa. Il motivo? Anche in questo caso è ignoto. Molti manifestanti fuggono, altri vengono fermati, umiliati, insultati, privati delle loro macchinette fotografiche e dei rullini già utilizzati.
Successivamente i dimostranti coinvolti in questa macabra operazione di mantenimento dell’ordine pubblico vengono condotti nella caserma di Bolzaneto, dove hanno luogo azioni scellerate e umiliazioni aberranti sui civili arrestati. Le forze dell’ordine giustificano le loro azioni con il tentativo di reprimere le manifestazioni distruttive messe in atto dai Black Bloc che, però, riuscivano sempre a fuggire.
Nella notte prosegue la ricerca dei gruppi violenti e, infine, conduce le forze dell’ordine al Liceo Sandro Pertini, meglio noto come Diaz, e alla Scuola Media Giovanni Pascoli, i cui locali erano stati adibiti a dormitorio. Come raccontano i presenti, c’era un clima di serenità all’interno delle strutture e qualcuno già dormiva, quando a cavallo tra il 21 e il 22 luglio irruppero nelle scuole reparti mobili armati di manganelli e lacrimogeni.
Mi ero sistemato nell’angolo sinistro entrando nella palestra vicino a me vi erano due ragazzi stranieri. Mi addormentai; mi svegliai poi per forti rumori che venivano probabilmente dall’esterno. Poco dopo vidi entrare diversi poliziotti in gruppo compatto. Vi erano alcune persone in piedi ed altre sedute come me nei sacchi a pelo, che tenevano le braccia in alto. Alcuni urlavano “no violenza”. I poliziotti si diressero subito contro i primi che si trovarono davanti e li presero a calci; urlavano “questo è l’ultimo G8 che fate”, “ora vi aggiustiamo noi”, e li insultavano. Si rivolsero contro la coppia che si trovava vicino a me, colpendo con un calcio in faccia la ragazza, e quindi verso di me, che mi ero protetto con le braccia; ricevetti diversi colpi con manganelli sulle braccia, all’addome e alla schiena. Perdevo sangue dalle braccia. Questo “pestaggio” è durato un po’ e quindi gli agenti si diressero verso il centro della palestra. Non capivo il perché di quanto stava accadendo e credo anche di averlo chiesto ai poliziotti. Vi erano persone ferite che piangevano e cercavano di aiutarsi l’una con l’altra. I poliziotti portavano divise scure con caschi azzurri. Mi si avvicinò poi un poliziotto, che portava invece una camicia bianca e che passando colpiva quelli che si trovavano già a terra, e colpì anche me sulla schiena con il manganello. Altri poliziotti lo fermarono, dicendogli che ormai era finito tutto.
Guadagnucci Lorenzo, redattore del Resto del Carlino, udienza 16/11/2005; parte civile
Dentro gli edifici scolastici fu seminato il terrore e fatto scorrere fiumi di sangue. Tra le vittime di quella che fu definita “una macelleria messicana” c’è un giornalista britannico Mark Covell che non ha mai smesso di denunciare i pesantissimi crimini commessi quella sera dalle forze dell’ordine, noncuranti di qualsiasi diritto umano.
Gli insabbiamenti per giustificare 1.200 feriti ingiustificabili
Il giorno successivo un nuovo tentativo di insabbiamento: le tv trasmettono le parole di Ansolino Andreassi che descriveva l’azione delle forze dell’ordine nella Diaz come fondamentale, in quanto nell’edificio scolastico facevano sede alcuni nuclei armati di Black Bloc. Venivano mostrate “armi artigianali” e due bottiglie molotov. In realtà, il poliziotto Pasquale Guaglione confesserà che quelle due molotov erano state rinvenute da lui stesso la mattina in un’aiuola di Corso Italia. Non mancheranno negli anni successivi altre delucidazioni fornite in modo particolare dal vicequestore Michelangelo Fournier sui macabri massacri della “notte cilena”.
Domenica alle ore 12 si concludeva il G8, lontano e indifferente da tutto quello che era successo. Fu soltanto il governo italiano a dover dare delle spiegazioni sui fatti di Genova, sulla carneficina inscenata dalle proprie forze dell’ordine e sui numeri da guerra al termine delle manifestazioni: 1 vittima, 1.200 feriti, 6.300 lacrimogeni e bombe gas impiegate.
Mentre D’Alema denunciava una violenza di tipo fascista, Fini giudicava insindacabile l’azione delle forze dell’ordine, parlava di solidarietà ai carabinieri vittime di un linciaggio. In realtà, era stato messo in atto contro i manifestanti un pesante modello repressivo; solitamente in queste occasioni si impiegano delle misure preventive, non militari come è stato per Genova.
Nuovamente allora ci si potrebbe chiedere perché sono stati introdotti dei manganelli ritenuti pericolosi quanto un’arma da fuoco, perché allo stesso modo siano stati usati gas cs. Non si esauriscono gli interrogativi se si pensa a quanto avvenuto a Bolzaneto o nella Diaz, e ancora ci si chiede perché, se l’obiettivo delle forze dell’ordine erano i Black Bloc, non sono state seguite le informative della SISDE che svelavano i piani degli anarchici neri nelle giornate del 19 e del 20 luglio. Il ruolo dei Black Bloc durante questa manifestazione rimane tutt’ora un mistero. Infine, l’interrogativo più stringente è legato alla scelta di caricare manifestanti autorizzati appartenenti al Genova Social Forum.
Nel frattempo l’Italia ha metabolizzato tutto, ha ridotto il tempo di prescrizione per evitare di riaprire processi ai soggetti coinvolti, che, “ovviamente” hanno fatto carriera. La Corte dei Conti cita Francesco Grattieri, direttore del Servizio centrale Operativo, il vice Gilberto Caldarozzi, il capo della Digos di Genova Spartaco Mortola ed altri funzionari coinvolti nelle vicende legate all’ultima notte. Trai citati dall’accusa c’è anche Alfonso Sabella, all’epoca capo dell’Ispettorato del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Scavare approfonditamente all’interno delle vicende porta alla conoscenza di alcune verità che, come in questo caso, non bastano a costruire delle spiegazioni. Si possono fare soltanto supposizioni, possiamo ipotizzare che i fatti di Genova siano frutti di errori strategici, maturati in un contesto politico che voleva mandare precisi messaggi. Sarebbe, infatti, legittimo continuare a chiedersi il motivo dell’utilizzo di così cruente strategie di repressione, in alcuni casi anche inutili. Credo sia esplicative la frase di Alessandro Pillotto, sovraintendente al VI reparto mobile: «È una profezia che si adempie, quasi che i mezzi di comunicazione, la polizia, parte dei manifestanti cercavano un risultato e un risultato più o meno c’è stato»: scoraggiare le manifestazioni no global.
Autore
Matteo, classe 1997. Non avevo mai provato il disagio di creare una bio finché non ho dovuto scrivere la mia. Se ti dico qualcosa, credimi. Non sono un bugiardo e non voglio fare il giornalista.