Susanna Ceccardi e il sovranismo della femminilità

0% Complete

Come prevedibile, le elezioni europee di giugno 2024 sono state teatro di propaganda politica senza esclusione di colpi. Soprattutto a destra, il livello comunicativo ha raggiunto vette di malcostume ben poco invidiabili, tra cadute di stile, nostalgie mussoliniane e retorica dell’insulto. Accantonando il revisionismo storico sulla Decima MAS di Roberto Vannacci e le vignette improponibili sui profili social di Matteo Salvini, salta all’occhio la recidiva misoginia di certi episodi: il 3 maggio, in un tweet su X, il dirigente di Fratelli d’Italia Luigi Rispoli ha paragonato la leader del Partito Democratico Elly Schlein a una donna di Neanderthal, con la didascalia «Separate dalla nascita».

I precedenti che hanno contribuito a fomentare l’odio contro la deputata italiana non sono pochi, come i casi simili di Antonfrancesco Vivarelli Colonna (sindaco di centro-destra di Grosseto) e Giorgio Contovas (Forza Italia). L’effetto lo possiamo monitorare quotidianamente leggendo la sezione commenti di ogni post riguardante Elly Schlein in giro per il web. Come ha scritto Flavia Perina sulla Stampa, a destra la «subcultura dell’insulto estetico» gode ancora di buona salute. La tradizione è lunga: si passa dalle spregiudicate barzellette di Silvio Berlusconi su Rosaria Bindi alla frase razzista dell’attuale ministro Roberto Calderoli (Lega), che nel 2013 diede dell’«orango» alla ministra nera Cécile Kyenge.

Ha suscitato polemiche anche la serie di manifesti controversi pubblicati sui principali social network (X, Instagram, Facebook) dalla leghista Susanna Ceccardi, candidata al Parlamento europeo per la seconda volta. Nonostante siano dotati del barlume di decenza necessario per evitare l’insulto plateale del caso di Rispoli, come ha scritto ancora Flavia Perina, l’intenzione è la medesima: «solleticare la misoginia del pubblico». Di cosa si tratta?

«O ME…O LEI!»

Quattro manifesti avversativi, in cui Susanna Ceccardi contrappone il suo ritratto sgargiante a un suo avversario candidato alle europee, non necessariamente nella sua circoscrizione: «O ME…» oppure Ilaria Salis, Elly Schlein, Lucia Annunziata, Mimmo Lucano. Dopo il relativo successo di questa operazione, verrà estesa anche contro Ursula von der Leyen. L’apparente innocenza di questo guanto di sfida è smascherata fin da subito dalla foto denigratoria scelta per Ilaria Salis: riproduce in bianco e nero uno degli attimi desolanti in cui l’insegnante milanese presenzia davanti al tribunale ungherese, in manette, consumata dalla violenza istituzionale del regime liberticida di Viktor Orbán. Per usare un’espressione cara a Bellocchio, «sbatti il mostro (antifascista) in prima pagina».

Dalla pagina Facebook di Susanna Ceccardi

Il caso Susanna Ceccardi vs Elly Schlein però nasconde qualcosa di diverso. Nuovamente, l’autrice sfoggia un ritratto curato nei minimi dettagli, con un sorriso rassicurante, il trucco calibrato, ma questa volta impone alla sua avversaria uno zoom del volto che ne esalta l’estetica non convenzionale. La candidata della Lega ha respinto ogni accusa di body shaming, sostenendo che il confronto grafico si baserebbe soltanto sui diversi valori politici, ma è evidente la fragilità della sua difesa: il contesto ha un suo peso. Il manifesto non presenta altro se non un’opposizione estetica tra due volti femminili, sintetizzata nel bivio «O ME…O LEI!», strizza l’occhio ai precedenti vergognosi che hanno deriso l’aspetto della segretaria del Partito Democratico e segue le orme del pattern grafico che ha usato Matteo Salvini nella sua campagna elettorale. Su una cosa ha ragione però: la politica c’entra e non è certo la prima volta che i conservatori sfruttano il volto femminile come strumento di propaganda politica.

Dalla pagina Facebook di Susanna Ceccardi

«Donna italiana… anche la tua femminilità è affidata al tuo voto»

Nel 1948 si svolsero le prime elezioni della giovane Repubblica italiana e i due più grandi partiti di massa, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano si contesero l’egemonia culturale in una società nuova, spaccata in due dai blocchi antagonisti della Guerra fredda. Finalmente anche le donne conquistarono il diritto di voto e divennero cittadine a pieno titolo. La comunicazione politica dello scudocrociato si servì anche del volto femminile per promuovere la propria ideologia e questo manifesto elettorale ne è un esempio.

Manifesto della Democrazia Cristiana, 1948

Sulla sinistra vediamo una donna elegante con in mano la sua scheda elettorale: indossa una scarpa décolleté e un tailleur grigio, che risalta sullo sprazzo di vernice sullo sfondo, azzurra come il cerchio in cui trionfa il simbolo del partito in basso a destra. Il suo volto è luminoso, sorridente, fiero della propria presenza e ricambia con occhi di garbata speranza lo sguardo dello spettatore. La scritta riportata nel titolo del manifesto percorre sia la donna democristiana che la sua nemesi, la donna comunista, di proporzioni più piccole e immersa in pennellate rosse, mentre sfoggia con goffaggine il pugno alzato e una falce e martello sul vestito. Il confronto estetico tra i due volti è volutamente impietoso. La donna comunista è caricaturale, viene privata di ogni elemento tipico di femminilità ed è ritratta in carne, con un volto grottesco. L’intento è chiaro: escludere, tracciare una linea netta tra dentro e fuori. La donna democristiana è bella e italiana, mentre quella comunista è brutta e straniera, quindi esclusa dalla comunità e senza voce in capitolo nella conversazione sulla femminilità.

Il bivio fantoccio

Con le dovute proporzioni, il manifesto di Susanna Ceccardi va nella stessa direzione: delegittima l’avversario sul piano estetico e impone una certa idea di femminilità italiana, sovrana. Ma non deve sorprendere. Quando Roberto Vannacci definisce le femministe «moderne fattucchiere» e parla di normalità, non fa altro che escludere una categoria per prescrivere un modello normativo. O con noi o contro di noi. Lo stesso vale per Matteo Salvini, quando ad esempio pubblica i manifesti Meno Europa Più Italia e contrappone un uomo con la barba incinto a una famiglia felice che pare il Mulino Bianco, e per Giorgia Meloni quando urla di essere una donna, madre, italiana, cristiana e attacca la fantomatica «Lobby LGBT» (Spagna, comizio di Vox, 2022).

Si crea un bivio fantoccio: da una parte i normali, dall’altra i diversi, senza via di scampo. Ma questo bivio non esiste: non esiste la “normale” femminilità italiana e non esiste lo spettro europeo della minaccia gender pronto ad assalire il quieto vivere italiano. È una pura invenzione per distrarre un elettorato confuso. La differenza reale è la libertà di autodeterminarsi: il polo Schlein non vuole annullare nessuno e si limita a rivendicare il diritto di esistenza del non convenzionale, mentre il polo reazionario punta i riflettori sul diverso e mira a escluderlo dal branco, denigrandolo in nome di un sovranismo pieno di odio e luoghi comuni. Di recente la filosofa Maura Gancitano ha dichiarato che «l’idea di una identità italiana come qualcosa di unitario e omogeneo è un falso storico», perché se vogliamo definirla «dovremmo parlare della sua molteplicità, delle sue enormi differenze, della sua frammentarietà, che è in gran parte l’origine della sua ricchezza». Lo stesso vale per l’identità femminile.

Autore

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi