Venne ghigliottinata nel 1793. Le tranciarono la testa insieme alla gola e alla parola, perché ne scriveva troppe, indecenti e impressionanti, per essere una donna. Il giorno dopo dichiararono sul Moniteur «Olympe de Gouges volle essere un uomo di Stato, sembra che la legge abbia punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso».
Si chiamava Marie Gouze, ma decise, almeno per il suo nome, di essere Olympe de Gouges. Firmò 71 pièce teatrali, 70 tra scritti rivoluzionari e articoli. Fu una drammaturga, un’attivista, una femminista ante litteram, fu una donna che non accettò di essere donna, nel tempo in cui le donne erano «nient’altro che maschi menomati» o «porte del diavolo». Nacque in Francia, da una famiglia medio-borghese. Sposò un uomo che non amò mai, poi rimase vedova a sedici anni con un figlio, Pierre. Nel 1770 partì per Parigi, non si risposò più. Ebbe diversi amanti e decise autonomamente le sorti della propria vita. Frequentò salotti letterari e conobbe giornalisti, filosofi e scrittori: Rivarol, La Harpe, Marmontel, Louis Sébastien Mercier, con il quale strinse un’amicizia destinata a durare negli anni.
Si appassionò alla scrittura teatrale e creò una sua compagnia, con la quale faceva teatro itinerante. Si dedicò ai diritti della libertà individuale, al riconoscimento dei diritti delle donne, ma anche degli schiavi, degli orfani, dei disoccupati, dei poveri.
Mi commuovo quando leggo di donne che hanno trascorso la vita a raccogliere parole al vento, una faccenda apparentemente vana, di fatto tutt’altro che vana. Me le immagino a raccattare da terra sempre le stesse foglie decise a cadere, e a voler sfidare le leggi “naturali”, certe di poterle vincere. Assurde, quindi. Me le immagino ad attendere indietro le loro stesse parole, ripetutamente, a vederle respinte di fronte a muri di vetro, troppo spessi sia per essere valicati, che per riflettere. Me le immagino a urlare ai sordi, a sbracciare ai ciechi. Cieche e sorde, loro, approdate in un mondo che ha altri sensi. Così altro dai canoni da sembrare matte, sadiche, condannate alla perenne incomprensione. Invisibili, ma dalle parole insidiose come sonde o spiriti bianchi, mostruose e decise a rompere i sogni e la quiete, con parole di sangue, annaffiatoi di coscienze annebbiate.
I più stravaganti sono certi che le mie opere non mi appartengano, che ci sia troppa energia e conoscenza delle leggi nei miei scritti perché siano opera di una donna.
Mi commuovono le non credute, perché credono a quello che gli altri non vedono.
Nel maggio 1789 pubblicò Le cri du sage, par une femme, in cui proclamò: «Potete escludere le donne da tutte le assemblee nazionali, ma il mio genio caritatevole mi porta nel mezzo di questa assemblea». Le cronache scrivevano «La Bastiglia è distrutta […] Olympe de Gouges riceve il suo battesimo ed eccola con gli occhi aperti, le orecchie all’erta, tese ad ascoltare le grida del popolo ed i discorsi dei deputati […] risponde a tutto, interpella il re, l’assemblea e la Francia […] i muri di Parigi sono coperti dai suoi manifesti». Dopo la convocazione degli Stati Generali del 1 maggio del 1789 fu presente alle sedute dall’assemblea nazionale, con altre donne.
Nel 1791, in piena rivoluzione francese, Olympe de Gouges pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, un documento giuridico sul modello della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Al primo punto si legge: «La donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell’uomo», seguito da altri 16 punti. Nell’articolo 10 dichiara: «Se la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere anche quello di salire sulla tribuna». De Gouges ne inviò una copia a Maria Antonietta, accompagnata da una lettera: «Sostenete, Signora, una causa così bella, difendete questo sesso infelice, e avrete presto dalla vostra parte una metà del regno».
La Dichiarazione dei diritti della donna fu giudicata scandalosa e il suo appello cadde nel vuoto, tra l’ostilità degli uomini e l’assenza di solidarietà delle donne, che temevano di dare dispiacere ai mariti da cui dipendevano economicamente. «O donne, donne! Quando cesserete di essere cieche? Quali vantaggi avete ottenuto dalla Rivoluzione?». E ancora: «Uomo, sei capace d’essere giusto? È una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi: chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, a cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata…».
Mi commuovono e mi rincuorano, mi spingono a pensare che le elisioni di voce sono espedienti del tempo, che nei vuoti nascono i pensieri miscredenti, quelli giusti, nella misura in cui giusto sta per libero, libero per uomo, uomo mai per donna. Nei cuori politici la vita è solo un’occasione per la lotta. Olympe de Gouges non ha mai vissuto per vivere, la sua vita è stata tutta un atto politico.
Addio figlio mio, domani la mia testa sarà tagliata. Credono di tagliare l’erbaccia ma è troppo tardi. Qualcosa è in marcia e nessuno può arrestarlo.