Il populismo è morto (o sta solo dormendo?): la Francia e l’Italia

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«Se populista vuol dire ascoltare i bisogni delle persone, allora sì, sono populista!». Parole e musica di Giuseppe Conte 1.0, quello del governo gialloverde. Un personaggio che è difficile riconoscere oggi, quando dà la sua investitura ufficiale a Roberto Gualtieri. Dei compagni di viaggio del Conte I, Luigi Di Maio si è convertito sulla via di Damasco (in un’intervista del 25 febbraio, parlava del M5Scome di una forza «moderata e liberale»), mentre Matteo Salvini è stato folgorato da Mario Draghi. Salvo poi pentirsi del gesto dopo il tracollo delle amministrative, con un partito che non sembra seguirlo più. Alessandro Di Battista pare pronto a riscendere in campo per ridare vigore a quel populismo («Il fascismo è la finanza», ha dichiarato a Siena), ma forse qualcosa è cambiato rispetto a 4 anni fa, quando l’Italia sembrava essere pronta a essere “annessa” al blocco di Visegrad.

C’è vita oltre il populismo?

La risposta è sì, e non è detto che la caduta dei populisti implichi una svolta progressista dell’elettorato, anzi. Sembra che in molte zone in cui i partiti populisti erano più forti, sia ora venuto il momento dei sovranisti. 

Iniziamo, com’è ovvio che sia, dal nostro paese: il crollo del M5S (ora leggermente in ripresa) è stato accompagnato prima da una crescita verticale della Lega, poi da una stagnazione di quei voti e infine da un vero boom di Fratelli d’Italia. A parte i risultati elettorali, Giorgia Meloni è riuscita a diventare un fenomeno pop, ha scalato le classifiche dei libri più venduti d’Italia con Io sono Giorgia ed è presidente dei conservatori europei, lo stesso gruppo che comprende i sovranisti polacchi. È persino diventata un tormentone in Spagna, quando al congresso di Vox hanno registrato una “nuova” canzone in stile più spagnoleggiante, Yo soy Giorgia. Ad oggi, sembra difficile non immaginare un futuro radioso per FdI, sebbene poi il voto e le fortune politiche dei leaders si siano fatte sempre più volatili. 

È però dalla Francia che arriva la scossa più forte. Stiamo parlando di Eric Zemour, il nuovo astro nascente dell’estrema destra francese, che punta a “detronizzare” la famiglia Le Pen, dopo 40 anni di “egemonia dinastica” su quell’area politica. Jean-Marie detronizzato dalla figlia Marine, che prende le distanze da lui; e la nipote di lei, Marion Maréchal che studia da leader nella sua scuola di formazione politica, in attesa di prendere le redini del partito. Zemmour prova a rompere questo meccanismo. Lo fa in polemica con la svolta moderata che Marine Le Pen ha imposto al partito, che gli è costata il rapporto con il padre. Il quale ha già benedetto questo progetto di “restaurazione a Destra”, molto più estremo di quello portato avanti da Giorgia Meloni sull’area ex AN. «Mi piace, è un uomo audace» ha detto di lui l’ex segretario del FN

Lo fa con un’autobiografia, La France n’a pas dit son dernier mot (La Francia non ha detto l’ultima parola) in cui propone una bozza di programma che somiglia a una sorta di restaurazione etnica, ancor prima che culturale, del paese. La rivincita dell’uomo bianco ed etero su musulmani e omosessuali, lo sdoganamento del politically uncorrect, il ritorno «della maggioranza dei francesi, che non sono né musulmani, né omosessuali» al posto di comando che gli compete. Già alle ultime amministrative si faceva il suo nome come possibile candidato per Les Républicains, al punto che (secondo quanto lui scrive) la stessa Marine Le Pen lo aveva incontrato per cercare di dissuaderlo dal candidarsi. Adesso avrebbe potenzialmente i voti per arrivare al secondo turno e tentare di sconfiggere al ballottaggio quell’Emmanuel Macron che Marine Le Pen non è mai riuscita a battere. Rispetto alla presidente del Rassemblement National, Zemmour propone un programma più vicino ai sovranisti dell’Europa Orientale: più cupo, che cerca di guardare agli operai che non si riconoscono più in una Sinistra troppo incentrata sui diritti delle minoranze, più lontano dalla religione civile francese. Nel mentre Marine Le Pen, che meno di un anno fa sembrava pronta a salire all’Eliseo, è bloccata sulla soglia del 16% nei sondaggi. Questo anche perché una parte del paese, dopo la stagione di terrorismo inaugurata dagli attentati di Charlie Hebdo, è stanca: il nuovo nemico, per Marine, Eric ed Emmanuel si chiama “separatismo islamista” (e non islamico: sulla sua non contrarietà all’Islam, nell’ultimo anno, Macron ha dovuto battibeccare con metà della stampa americana). Qualcosa che spinge i francesi, soprattutto quelli delle zone rurali, a confondere la lotta all’islamismo con quella alle minoranze. Una situazione propizia per Zemmour, che potrebbe contare su una sorta di “effetto Renzi”: un’opinione pubblica che, al netto dei votanti di En Marche, non ne può più del Presidente e farebbe di tutto pur di levarselo di torno. Perciò, al ballottaggio, Macron dovrà stare attento: non sarà facile come l’ultima volta. 

Foto di LUDOVIC MARIN/AFP via Getty Images

E quindi la domanda chiave che ci potremmo porre è: il populismo è la fase preparatoria del sovranismo, la “lavatrice” che prende elettori di diverse provenienze politiche e li spinge verso la Destra (o qualche volta la Sinistra) estrema? Una risposta netta, sì o no, sarebbe forse in po’ semplicistica: questo discorso potrebbe forse valere per il caso italiano, dove abbiamo visto tantissimi voti spostarsi dal PD e Forza Italia al Movimento 5 Stelle, che poi li ha ceduti alla Lega (che, tanto per dire, è il partito egemone nella CGIL), con questa che ha “dirottato” una parte di essi verso Forza Italia. Queste però sono analisi dei flussi elettorali, che non tengono conto degli eventi politici e sociali che hanno avuto luogo negli ultimi 10 anni e tendono a vedere in maniera univoca gli eventi. Ignorando, per esempio, gli scricchiolii nel consenso di FdI e il rimbalzo di PD e Movimento 5 Stelle degli ultimi mesi. Se è difficile esprimersi sul tema per un contesto limitato come quello italiano, figuriamoci in un mondo democratico in cui l’unica costante sembra essere la sempre maggior volabilità del voto: tanto per dire, a gennaio molti giornali profetizzavano, sondaggi alla mano, il trionfo imminente di Marine Le Pen. Sappiamo adesso cosa dicono, quegli stessi giornali.

La politica non si fa con i sondaggi e anche la previsione più accurata può essere smontata in un minuto: la ricerca del feedback e la sondaggiocrazia meglio lasciarla, appunto, ai populisti. 

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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente

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