Omofobia nel calcio: è giusto non dichiararsi per preservare la propria carriera?

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Dove vai se vuoi una pagnotta? Da un fornaio, immagino. Dove vai se vuoi un cosciotto d’agnello? Da un macellaio. Allora perché continui ad andare in quei cazzo di locali per froci?

Un aneddoto riportato da Brian Clough, che vede protagonisti lui e Justin Fashanu, il primo calciatore famoso a fare coming out

Partiamo da un dato di fatto: il calcio è lo sport più seguito al mondo. Anche chi non ha mai visto una partita sa perfettamente chi siano, ad esempio, Messi e Cristiano Ronaldo, in quanto il talento sportivo spesso travalica il rettangolo da gioco, invadendo sempre più la cultura popolare.

Uno sport che da sempre aggrega – e divide – milioni di persone, portando a una sovrapproduzione di trasmissioni – televisive e radiofoniche – dove gli opinionisti parlano di calcio per tutto l’arco della giornata. Analisi tecniche, focus sui vari campionati, approfondimento su un mancato rigore o un gol in fuorigioco e teorie – talvolta degne del miglior complottista – sulle relazioni che intercorrono tra un allenatore e un calciatore e sulle dinamiche dello spogliatoio.

C’è un aspetto però che non si considera mai, e riguarda il discorso sull’omosessualità. Ed è chiaro che se non lo si affronta non è per mancanza di tempo o perché si tratta di un argomento fuori tema. Non se ne parla perché è un argomento estremamente scottante, al quale gran parte della popolazione che segue assiduamente il calcio guarda ancora con sospetto. E tutto ciò ci riporta culturalmente indietro di almeno 60 anni, quando vigeva un clima di conclamata sessuofobia su tutti i canali istituzionali.

Il caso tedesco: un appello per sensibilizzare

Maurizio Sarri non è di certo un maestro di stile: a parte l’aneddoto riportato, si ricordi pure di quando, in una conferenza stampa sempre ai tempi del Napoli, ad una giornalista che aveva posto una domanda scomoda rispose: «Sei una donna e sei carina, non ti mando a fare in culo per questi due motivi».

Recentemente, la rivista sportiva tedesca 11 Freunde ha dunque lanciato un appello per sensibilizzare l’opinione pubblica: 800 calciatori e calciatrici hanno esortato i gay a fare coming out. Questo perché, attualmente, non esistono calciatori gay in nessuna lega professionistica. Tra i firmatari ci sono singoli calciatori e club interi, come ad esempio il Borussia Dortmund.

La questione ha sollevato pareri divergenti, come ad esempio quello di Philipp Lahm, leggenda del Bayern Monaco e della nazionale tedesca. Nel suo libro recentemente uscito ha infatti scritto che, a un calciatore che intende fare coming out, non consiglierebbe mai di dichiararlo ai propri compagni di squadra. Dunque, tacere per sopravvivere. 

Non rivelare il proprio orientamento sessuale per preservare la propria carriera. Sono stati molti infatti i calciatori che si sono dichiarati solo dopo il ritiro: si pensi ad esempio a Thomas Hitzlsperger, attuale direttore sportivo dello Stoccarda e con un passato nella Lazio, che ha nitidamente espresso l’impossibilità di parlare della propria omosessualità durante la carriera.

Va notato come nel calcio femminile ci sia molta più libertà d’espressione, ma questo forse è da ricercare nel minor bacino d’interessi economici che circonda i loro campionati.

Ad ogni modo, non si fa fatica a credere a Thomas Hitzlsperger. Pensiamo solo ai casi più eclatanti: Hector Bellerin, terzino dell’Arsenal, è stato spesso chiamato lesbica dai tifosi per i suoi i capelli lunghi, e, addirittura, ha dovuto chiudere i suoi account social quando la situazione era diventata insostenibile; o al caso Mancini-Sarri, al tempo allenatori rispettivamente di Inter e Napoli e protagonisti di una breve discussione a bordo campo, conclusa con un’intervista a Sky in cui Mancini rivelava che l’allenatore avversario gli aveva gridato frocio e finocchio.

E una menzione a parte merita Cassano. Quando un giornalista gli chiese se ci fossero omosessuali nella squadra della Nazionale italiana, il calciatore barese tentò di dribblare la questione. Ma il risultato fu grottesco: «Se penso quello che dico… Sai cosa vien fuori? Problemi loro! Son froci? Problemi loro.[…] Mi auguro che non ci sono veramente in nazionale».

Una visione distorta dello sport

Justin Fashanu

Ma allora, se il calcio è lo sport più diffuso a livello mondiale, come fa ad essere così retrogrado? La risposta ad una questione così complessa la possiamo ritrovare nel lessico che si usa costantemente nel calcio. Si pensi a Gianluca Petrachi, quando davanti ai microfoni esaltò il lato virile del calcio: «Il gioco del calcio è un gioco maschio, non è un gioco di ballerine. Sennò ci mettiamo il tuppino, ci mettiamo le scarpine da danza classica e andiamo a fa’ tutti danza classica

Ma Petrachi, al tempo direttore sportivo della Roma, è uno tra i tanti. In ogni trasmissione che invade i media c’è una comunicazione che riconduce sempre il calcio ad una sorta di guerra. Continuando la metafora, ciò che – amaramente – ne deduciamo è che l’opinione pubblica non prevede che un omosessuale possa prendere parte a questo gioco così aggressivo.

Un calciatore gay, sarebbe dunque un mezzo calciatore. Gli faresti tirare un rigore in una finale di Champions League? Meglio di no, probabilmente. Potrebbe farsi condizionare della tensione, il gay.

Si cerchi allora di sensibilizzare il tema e di non ripetere mai più l’errore imperdonabile che i media hanno fatto con Justin Fashanu, accusato, dopo una carriera segnata dal suo coming out, di aver stuprato e drogato un giovane ragazzo.

Ma in verità, in una lettera scritta all’inizio di maggio, Fashanu ci tenne a «dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina lui mi ha chiesto denaro. Quando io ho risposto “no”, mi ha detto: “Aspetta e vedrai”.» E lo fece in una lettera perché, la mattina del 3 maggio, fu ritrovato impiccato in un garage.

Autore

Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.

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