Maradona è stato più di un calciatore: Messico ’86 e la rivincita contro l’Inghilterra per la guerra delle Falkland

Ai Mondiali del 1986 in Messico, Maradona condusse l’Argentina al trionfo, ottenendo ai quarti una storica qualificazione con l’Inghilterra. Per il popolo argentino quella vittoria rappresentò una beffa al secolare imperialismo britannico e fu una storica rivincita dopo la guerra delle Falkland e il Roblo del siglo.

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Diego Armando Maradona, l’idolo di un popolo

Se il popolo argentino avesse ascoltato Amore Disperato di Nada, avrebbe esclamato “sembra un angelo caduto dal cielo” guardando Maradona nei giorni successivi al quarto di finale contro l’Inghilterra al Mondiale dell’86. Diego, il ragazzo di Lanus, guidò l’Albiceleste al trionfo, andando oltre il calcio, facendo rinascere una nazione. Era un amore disperato, folle, controverso, a tratti insostenibile, quello che legava El Pibe de Oro, il ragazzo d’oro, e la sua gente. Maradona non rappresentava i valori del popolo, era il popolo. Il loro rapporto fu tanto grande che divenne un credo, con un seguito di oltre 800.000 fedeli, la Iglesia Maradoniana fondata nel ’98 a Rosario.

L’Argentina a cavallo tra gli anni ‘70/’80 era un paese in enorme difficoltà civile e politica: il calore di quella terra era stato smorzato da terribili anni di dittatura. Nel ’76 era stata eletta al comando della nazione una giunta militare, crollata dopo una crisi economica ad inizio anni ’80. Da lì si succedettero tre generali a capo dello Stato: Videla, Viola e infine Galtieri. Questi tre istituirono delle dittature estremamente sanguinarie, rendendosi responsabili della tortura e morte di oltre 30.000 ragazzi, i cui cadaveri furono fatti sparire in modo barbaro.

Mentre l’Argentina piangeva amaramente i suoi figli scomparsi, il regime cercava di far fronte all’incombenza della crisi e si precipitò in una breve guerra che decretò la sua fine. Solo Diego Armando Maradona, 4 anni dopo riuscì a far dimenticare per un momento quegli anni cruenti, prendendosi una rivincita contro l’Inghilterra, che seppure avesse destituito il regime, aveva bombardato per 19 ore le coste di un arcipelago di isole che si trovano di fronte il territorio argentino.

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Attorno a queste isole, Falkland o Malvine a seconda della prospettiva politica, si costruisce la storia che esaltò Maradona come un eroe nazionale, non solo calcistico, ma politico, trascendentale, qualcosa che, probabilmente, a quest’intensità, non accadde mai a nessun calciatore.

La dittatura spietata e la guerra delle Falkland

Negli anni ’80, appunto, le persone in Argentina se la passavano malissimo. Per placare i malumori della gente, generati dalla violenza del regime e dalla povertà, il generale Gualtieri, nell’aprile del 1982, decise di invadere le isole delle Falkland. Quest’arcipelago si trova davanti la costa argentina. Era stato abitato da popolazioni provenienti dalla Patagonia finché nel 1736 i coloni francesi non se ne appropriarono. Tre anni dopo, in seguito alla Guerra dei Sette Anni la Francia fu costretta a cederle alla Spagna. Quando nel 1810 le Provincias Unidas del Rio de La Plata (odierna Argentina) dichiararono la propria indipendenza, rivendicarono la sovranità su parte dei territori spagnoli del continente, tra cui le Isole delle Malvine.

Più o meno vent’anni dopo gli inglesi usurparono con la forza le isole alla neonata nazione argentina. Spedirono un contingente militare e mandarono via dall’isola i militari argentini e il suo comandante designato José Marìa Pinedo. L’Argentina che, certamente, non poteva competere con l’Impero britannico lasciò che l’arcipelago passasse sotto la corona inglese. L’equilibrio rimase tale, finché il regime di Gualtieri tentò di occupare le isole, pensando che, dopo un secolo, gli inglesi non avrebbero reagito avendo instaurato soltanto un leggero protettorato sull’arcipelago.

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Non fu così: l’intenzione del generale Leopoldo Gualtieri di far leva sul sentimento nazionalistico anti-corona si tradusse in un’idea sbagliata. Dopo che l’ONU ordinò alla milizia argentina di lasciare le isole e questo non avvenne, la Gran Bretagna interruppe le trattative e decise di reagire militarmente. Margaret Thatcher inviò navi da guerra, sottomarini nucleari, aerei e truppe che in alcune settimane riconquistarono le isole. Questo permise al popolo argentino di liberarsi della dittatura, ma li fece precipitare in una situazione economica ancora più disastrosa e, in ogni caso, nelle persone restava l’amaro per l’ennesima prepotenza subita dall’Inghilterra.

Messico ’86: l’occasione della rivincita

Siamo in Messico, nei quarti di finale del Mondiale del 1986 e l’Argentina tutta, non solo quella calcistica, ha la possibilità di prendersi una rivincita contro l’Inghilterra, la nazione che per due volte gli aveva rubato le sue isole e che di più vent’anni prima, nel Mondiale d’Inghilterra, aveva osato anche rubargli una partita, un quarto di finale: quello che in patria ricordano come El roblo del siglo, il furto del secolo. Precisamente venti anni dopo, in un altro quarto di finale l’Argentina può rifarsi. Le favorite del Mondiale sono l’Italia, vincitrice della precedente edizione spagnola, il Brasile di Sòcrates e l’Argentina di Maradona. Questa volta l’Albiceleste ha veramente la possibilità di mandare a casa gli inglesi, puntando tutto sul proprio numero 10; quello che da molti, grazie anche a quel mondiale, sarà ricordato come il Dio del Calcio e che in questa partita elevò lo sport ad una dimensione empatica, tra una squadra e una tifoseria, tra un popolo e la sua identità nazionale, come mai nessuno è riuscito a fare.

La nazionale argentina dei mondiali del 1986

Inizia la partita e nel primo tempo l’incontro è bloccato. La seleccion allenata dal CT Bilardo è divenuta una squadra più matura e concreta, capace di saper resistere alla tentazione di attaccare, vocazione innata in ogni calciatore sudamericano. Così gli argentini, fedeli al pragmatismo del proprio allenatore, tengono gli inglesi, a quei tempi abituati a giocare un calcio molto fisico, sull’0-0 alla fine del primo tempo. Alla ripresa Maradona si accende e fa quello che tutti gli argentini avrebbero voluto: beffa veramente, per ben due volte, gli inglesi. Maradona diventa in quel momento l’uomo argentino che conduce la revancha, rivincita, sull’Inghilterra. Rivincita, come già detto, non solo calcistica.

El Pibe de Oro, un angelo caduto dal cielo

Nella ripresa inizia lo show del Pibe de Oro che, con un tocco di mano, riesce a trasformare la dimensione calcistica e politica dell’incontro in un vero e proprio evento “divino” per il popolo argentino. Al 6’ minuto Maradona inizia una percussione centrale palla al piede, scarica la sfera a Valdano che sbaglia il controllo e si fa anticipare dal difensore inglese, il quale alza un campanile all’indietro. La palla sembra andare nelle mani del portiere Shilton, forte dei suoi circa 20 centimetri in più d’altezza rispetto all’avversario Maradona, ma Diego corre, salta insieme al portiere ed istintivamente alza la mano per toccare il pallone. La palla finisce in porta e lo stadio esplode.

La “Mano de Dios” scende in campo a Città del Messico

L’Argentina passa in vantaggio, nessuno in campo si accorge dell’irregolarità; Diego, il ragazzo del Barrio, ormai diventato una stella del calcio mondiale, è più scaltro di tutti e getta in rete quel pallone toccandolo “un po’ con la testa e un po’ con la mano di Dio”, la Mano de Dios come la chiamò lui. Se pensate che il racconto finisca qui vi sbagliate. Perché ad assurgersi come eroe di una nazione non è un calciatore, ma il più forte di sempre. E dopo aver donato alla sua gente un vantaggio sporco, giustamente sporco, a rinfacciare l’imperialismo britannico, porta la sua squadra sul 2-0, segnando uno dei gol più belli, più iconici della storia del calcio mondiale.

Maradona fa una piroetta con il pallone a centrocampo e si libera di due giocatori inglesi, prosegue la sua corsa verso la porta, ne brucia subito uno, ne scarta un altro, poi un altro ancora, arriva davanti al portiere, lo salta, e segna. Se questo non è un angelo caduto dal cielo, allora cos’è? In patria le persone impazziscono, Maradona regala una gioia incommensurabile agli argentini e incomprensibile per chi non ha vissuto lì in quegli anni. Dopo la partita con l’Inghilterra, l’Albiceleste batte il Belgio in semifinale e la Germania Ovest in finale. Maradona e i suoi diventano campioni del mondo: la loro vittoria diede al popolo argentino molto di più di una soddisfazione calcistica. Fu un modo per dimenticare gli orrori della dittatura, per onorare i desaparecidos, per far respirare il nuovo governo democratico.

La nazionale Argentina alza la coppa del mondo dopo il 3-2 contro la Germania

Diego Armando Maradona, con Che Guevera tatuato sul braccio sinistro, scrisse in quel mondiale un pezzo di storia della Repubblica Argentina, prima di tutto beffeggiandosi dell’imperialismo britannico, che nel 2001 sarebbe tornato a far male al popolo argentino. Diego divenne più di un semplice calciatore: da quel momento in poi fu un simbolo, un idolo, come pochi sportivi furono in vita. Probabilmente se avesse voluto, avrebbe potuto farsi eleggere Presidente della neonata Repubblica tanto era l’amore ricevuto dai cittadini. Questa di Argentina e Inghilterra, delle isole Falkland o Malvine, di Maradona e la mano di Dio non è una storia di calcio, è una storia d’amore tra un eroe e il suo popolo.

Autore

Matteo Fantozzi

Matteo Fantozzi

Direttore Responsabile

Matteo, classe 1997. Non avevo mai provato il disagio di creare una bio finché non ho dovuto scrivere la mia. Se ti dico qualcosa, credimi. Non sono un bugiardo e non voglio fare il giornalista.

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