Dalla prima autostrada del mondo al Ponte Morandi

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21 settembre 1924, Lainate, Milano. Una Lancia Trikappa di casa Savoia si muove su un asfalto liscissimo e ancora inutilizzato, incrociando il nastro inaugurale di una delle opere più rivoluzionarie del XX secolo. Non si tratta di una competizione in un autodromo ma del primo viaggio in autostrada di sempre: apre al pubblico il tratto iniziale della Milano-Laghi, che connetterà il capoluogo lombardo alle città di Como e Varese.

In questo articolo esploriamo come da questo evento si sia sviluppato il sistema autostradale italiano, tramite alcune tappe fondamentali di un affascinante percorso nella storia dell’ingegneria del nostro paese.

Il momento dell’inaugurazione del primo tratto dell’Autostrada del Laghi

Il primato tutto italiano di ospitare la prima autostrada del mondo viene spesso contestato per la precedente costruzione in Germania e negli Stati Uniti di infrastrutture simili, nate però con il doppio intento di ospitare sia il traffico civile che, all’occorrenza, gare automobilistiche su percorsi panoramici. L’autostrada dei Laghi nasce invece prettamente dall’esigenza di collegare punti strategici del territorio nel più veloce e regolare tragitto possibile ed è per questo che nel 1926 il V congresso Mondiale della Strada le conferisce il titolo di prima autostrada del mondo. Il progettista è l’ingegner Piero Puricelli, che, non avendo a disposizione alcuna regolamentazione sulle caratteristiche proprie di un’autostrada, disegna una strada a una corsia per senso di marcia e promuove il modello del pedaggio per sostenere i costi di realizzazione e manutenzione dell’opera; tariffa da pagare nel punto di sosta obbligata ubicato lungo il percorso.

Da subito la nuova infrastruttura si rivela un potente mezzo di sviluppo industriale e sociale, permettendo gli spostamenti di merci e persone con una rapidità senza precedenti. Negli anni seguenti, sotto la spinta del regime fascista e grazie al crescente utilizzo delle automobili, si promuove la realizzazione di nuove tratte autostradali nelle aree a maggior vocazione industriale. Negli anni 30, infatti, si completano i collegamenti tra Milano, Torino e Bergamo, nonché la camionale che unisce Milano e Genova, fondamentale per il trasporto delle merci verso il porto di riferimento del Settentrione.

Il punto di sosta obbligato per il pagamento del pedaggio sulla Milano-Varese

Il vero slancio allo sviluppo della rete autostradale italiana avviene però nel secondo dopoguerra, quando gli aiuti economici del Piano Marshall permettono la realizzazione delle grandi opere necessarie a sostenere il nuovo ritmo industriale del Paese. Nel 1955 viene promulgata la legge Romita, che prevede che ogni regione sia dotata di collegamenti autostradali, con l’intento di formare una rete che copra l’intero territorio nazionale. Questo evento segna un punto decisivo per il trasporto in Italia, in quanto, precedentemente, le autostrade erano legate ad ambiti produttivi e sociali ristretti, ad esempio il triangolo Milano-Torino-Genova; l’area del triveneto, con la connessione Padova-Mestre o ancora le città di Roma e Napoli, con i loro collegamenti rispettivamente per il Lido e per Pompei. Se all’interno di questi ambiti la movimentazione di passeggeri e merci era legata principalmente al trasporto su gomma, gli spostamenti sulle lunghe distanze spettavano ancora al sistema ferroviario. Lo sviluppo di una rete capillare di collegamenti autostradali ha fatto sì che venisse preferito il trasporto su strada piuttosto che quello su ferro, anche sulle lunghe distanze, stimolando una crescita enorme del settore trasporti e, conseguentemente, dando inizio ai problemi ambientali dovuti allo spostamento delle merci nel nostro Paese. 

Va sottolineato inoltre come molte delle opere finanziate e costruite nei decenni del miracolo economico fossero di gran lunga sovradimensionate rispetto alle effettive necessità. Questo fatto è dovuto anche alla spinta della società S.I.S.I. (Società Iniziative Stradali Italiane), che in quegli anni studia lo sviluppo della futura rete autostradale e che nasce dalla partecipazione dei gruppi ENI, FIAT, Italcementi e Pirelli, tutte aziende fortemente interessate a promuovere la cultura dell’automobile in Italia.

La Maestosità della centina con sistema a tubi e giunti metallici Innocenti, utilizzato in questa foto per la realizzazione dell’arco del Viadotto sul fiume Aglio

I viadotti dell’Autosole: un biglietto da visita dell’ingegneria italiana nel mondo

Con la sua inaugurazione nel 1964, la A1 diventa motivo di vanto nella scena ingegneristica e architettonica internazionale, tanto da essere al centro dell’esposizione XX Century Engineering ospitata al MoMA di New York. Tra queste strutture non si può non ricordare il viadotto sul fiume Po, disegnato da Silvano Zorzi con innovative travate di calcestruzzo armato precompresso, realizzato in uno dei punti più critici dell’intera tratta, vista l’ampiezza del letto del fiume; poi i viadotti che permettono l’attraversamento delle valli appenniniche, tra i quali il quello sul torrente Sambro di Morandi e quello sull’Aglio, su progetto di Guido Oberti, che con i suoi 164 m di luce diventa l’arco in calcestruzzo armato più grande d’Italia. Tutte queste impressionanti strutture hanno in comune il fatto di essere invisibili agli occhi di chi percorre l’autostrada, essendo apprezzabili solamente lateralmente; tutte tranne la sequenza di viadotti sui fossi della Volpe, del Poggettone e della Pecora Vecchia, dove l’Autosole disegna una curva che permette di vedere in lontananza i ponti progettati da Arrigo Caré e Giorgio Giannelli.

La Chiesa dell’Autostrada del Sole tra ricordo e simbolo

La realizzazione della A1 rappresenta il cantiere pubblico più importante dell’Italia unita, sia per estensione che per sforzo costruttivo e umano. Per i suoi 760 km da Milano a Napoli, dal 1956 al 1964 si verificarono diversi incidenti in cantiere, molti dei quali fatali. A ricordo dei caduti sul lavoro viene realizzata alle porte di Firenze la Chiesa di San Giovanni Battista, anche detta Chiesa dell’Autostrada del Sole. Per la sua costruzione, l’architetto Giovanni Michelucci utilizza le tecnologie tipiche dei cantieri della A1 stessa, facendo entrare il fedele in uno spazio pregno di significato, strettamente legato all’infrastruttura, dove il calcestruzzo armato, i piloni e gli archi dei viadotti sostengono l’architettura religiosa.

Un altro simbolo indimenticabile: Il GRA

Non si può trattare il tema delle autostrade italiane senza dedicarsi al Grande Raccordo Anulare. Assieme all’Autosole, infatti, è tra le opere più riconosciute e amate degli Italiani. Se la A1 rappresenta la via delle vacanze, dei ritorni e il collegamento tra il Nord e il Sud, il GRA è necessariamente la porta d’ingresso per la Capitale. Qualsiasi romano in viaggio sa di essere arrivato a casa quando imbocca la corsia di accelerazione del Raccordo. Questa infrastruttura realizzata tra il 1948 e il 1970, diventata celebre nell’immaginario di tutti gli italiani, ha una storia molto affascinante, ricco di curiosità che si possono trovare già nel suo stesso nome: GRA non è infatti acronimo di Grande Raccordo Anulare (anche se spesso lo si vede scritto erroneamente nella forma G.R.A.) ma sarebbe in realtà eponimo dell’ingegnere progettista Eugenio Gra. Non si può dimenticare inoltre il dissenso legato alla sua costruzione: all’epoca era percepito come un’opera sovradimensionata e al limite dell’inutilità, viste le due corsie per senso di marcia in un periodo in cui l’automobile era ancora appannaggio di pochi; per non parlare della marcata distanza dalle zone urbanizzate di Roma, che lo ritraevano come una tangenziale in mezzo ai campi coltivati. 

Quello stesso anello è oggi uno dei limiti riconosciuti della Roma urbana ed è il tratto autostradale più trafficato d’Italia, nonostante negli anni si siano fatti lavori di ampliamento che hanno portato all’apertura della terza corsia di marcia su tutto il suo sviluppo. In questo caso si può quindi parlare di un progetto nato non da un bisogno reale, bensì di un’infrastruttura che ha preceduto l’urbanistica e, prevedendo una necessità futura, ha delineato lo sviluppo della città attraverso l’imposizione di un nuovo limite geografico dentro-fuori.

Il lento declino: dalla crisi petrolifera al crollo del Ponte Morandi

La rete autostradale italiana passa in poco tempo dall’essere un’idea utopica, al simbolo del boom economico, per poi però rappresentare anche la fine di questo periodo, con l’interruzione dei lavori e dei finanziamenti a causa della crisi petrolifera dei primi anni 70. Già da alcuni anni, inoltre, le lotte sindacali avevano innalzato non solo la qualità ma anche il costo del lavoro, rendendo sempre più difficile la realizzazione di opere impegnative quali le autostrade. Da quel periodo assistiamo a un rallentamento dei cantieri, che procedono con maggiore difficoltà e meno clamore, specialmente in casi eclatanti come la Salerno-Reggio Calabria, che nell’immaginario comune rappresenta l’esempio primo di opera infinita.

Non solo minori investimenti ma anche un sistema frammentario di concessioni e una scarsa cura del patrimonio costruito hanno fatto sì che la preziosa eredità di infrastrutture lasciata dal boom economico sia stata in parte trascurata, quasi dimenticando che qualsiasi opera ha una data di scadenza e che il calcestruzzo armato degli anni 60-70 non ha la durata di quello moderno, frutto di decenni di ricerca tecnologica. È il caso della tragedia del Viadotto Polcevera a Genova, che rappresentava in Italia e all’estero uno dei simboli dell’ingegneria del calcestruzzo del XX secolo in Italia e che lamentava, prima del crollo, una mancanza di manutenzione evidente. Questa vicenda incarna il momento più triste della storia recente della rete autostradale italiana; un sistema caratterizzato da opere eccezionali che meritano di essere ricordate per la loro natura avveniristica, non per la negligenza con cui vengono trattate e tantomeno per l’onta di una strage evitabile. Augurandosi che quanto accaduto a Genova non si ripeta, non si può che sperare nella necessaria risalita che consegue il punto più basso della parabola lunga quasi un secolo del sistema autostradale italiano.

Il Viadotto Polcevera prima del crollo di Agosto 2018, progettato da Riccardo Morandi

Autore

Friulano, classe 1997. Durante il liceo linguistico ho passato dieci mesi in Texas e non ci sono più tornato. Mi sono trasferito a Roma per l’università, provando Medicina, Economia, Lettere Moderne, per approdare poi ad Architettura. Ho una passione scostumata per l’edilizia storica e amo da poco la montagna.

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