Lolita: riflessioni sul Bene in letteratura

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Il 18 agosto del 1958, con non poche difficoltà, viene definitivamente pubblicato Lolita. Nabokov impiegò circa cinque anni a scrivere il romanzo, e passò gli altri due consecutivi a inviare il manoscritto a numerose case editrici francesi che si rifiutarono di pubblicarlo, spaventate dal contenuto scabroso della trama. Una delle lettere di rifiuto ricevute dallo scrittore diceva così: «Per gran parte è nauseante, anche per un freudiano illuminato. È una specie di incrocio instabile tra una realtà orribile e una fantasia improbabile. Spesso diventa un sogno a occhi aperti nevrotico e selvaggio… Consiglio di seppellirlo sotto una pietra e tenerlo lì per almeno mille anni».

Uscì per la prima volta a Parigi nel 1955, in lingua inglese. A pubblicarlo fu l’Olympia Press, una casa editrice allora specializzata in letteratura erotica, che aveva la propria sede a Parigi per sfuggire alla censura nazionale. Nonostante il successo, un anno dopo, in Francia venne vietato e ritirato dal commercio. L’ossessione del professore di letteratura per una ragazza dodicenne era troppo anche per i modelli libertini francesi. Dovettero passare altri due lunghi anni prima che qualcuno si accorgesse della novità che avrebbe portato il libro e del successo che avrebbe avuto. 

Nel 1958, la storia di questa passione proibita arrivò negli Stati Uniti, portando con sé una ventata di freschezza e di altrettante polemiche inevitabili. Scriveva Kafka: «Se il libro che stiamo leggendo non ci desta, come un pugno che ci martella il cranio, perché allora lo leggiamo?», e forse non aveva tutti i torti. I libri di cui ci siamo innamorati, i film che abbiamo visto decine di volte senza stancarci mai, sono proprio quelli che in qualche modo ci hanno colpito, che ci hanno dato quel pugno lì. Sorge spontanea una domanda: tutti i libri possono essere considerati letteratura oppure no?

Copertina del 1955, The Olympia Press

Dare una definizione di letteratura risulta difficile: significherebbe ridurne la complessità, non rendendo giustizia a tutte le sue sfaccettature. Tutti i più grandi autori hanno provato a dire la loro, a trovare delle caratteristiche che potessero essere considerate necessarie affinché si parli di letteratura. Molti ne hanno perfino associato uno scopo, senza il quale essa non sarebbe tale.

Walter Siti, uno dei più celebrati autori italiani contemporanei, sostiene che la letteratura è quell’elemento che insinua la contraddizione, che mostra come ogni cosa ha in se stessa il suo contrario. Secondo lui oggi non ci si chiede più “che cos’è la letteratura”, piuttosto ci si concentra sulla domanda “a cosa serve la letteratura”.

Nel suo saggio Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura spiega come la sopravvivenza di certi romanzi sia a rischio a causa della tendenza diffusa di attribuire alla letteratura il compito di “riparare” il mondo. Le viene accostata una funzione salvifica, come se il suo unico scopo fosse quello di rincuorarci, di farci sentire meglio. I romanzi sembrano essere diventati strumenti utilizzati per diffondere verità e giustizia.

Walter Siti ©Gabriella Corrado / Luz

A proposito di questo filone di pensiero, Siti ci racconta di quanto è accaduto attorno al romanzo di Nabokov: «Secondo la critica americana Lisa Zunshine, Lolita è un libro che non bisognerebbe più far leggere ai ragazzi perché fa credere al lettore che lo stupro di una ragazzina da parte di un uomo maturo sia invece un gioco di seduzione esercitato dalla ragazzina sull’uomo. Il fatto è che, leggendo il romanzo, noi pensiamo che Humbert Humbert venga sedotto da Lolita e non possiamo fare a meno di identificarci con lui», ma il punto è proprio questo. L’intenzione di Nabokov è quella di farci immedesimare in qualcosa di inaccettabile, di farci dubitare della nostra stessa natura e di tutti quei principi morali che pensavamo essere inamovibili. Provare il desiderio del protagonista per una bambina come fosse il nostro, nonostante pensiamo sia sbagliato. È la forza della letteratura, che ha nell’ambiguità la sua più grande alleata. Questa caratteristica delle opere letterarie di poter significare più cose contemporaneamente, anche contraddicendosi, è dovuto sopratutto al fatto che il testo viene letto sullo sfondo di presupposti storici e culturali sempre diversi.

Copertina Lolita per Adephi del 1996

La letteratura è prima di tutto una forma d’arte, d’espressione, di bellezza e, come tale, possiede un valore in sé. Quando guardiamo Giuditta che decapita Oloferne restiamo colpiti dall’immagine e dall’ espressività dei soggetti, a tratti anche impressionati da ciò che accade (in questo caso vediamo Giuditta intenta a decapitare con una spada il nemico, il generale Oloferne). In alcuni casi siamo affascianti dal tragico gesto, ma questo non vuol dire che l’autore\autrice del quadro ci inviti a compierlo. Che sia bene o sia male sta a noi deciderlo; ed è molto probabile che l’idea che ci faremo dipenderà dalle nostre esperienze, la nostra educazione familiare e scolastica, le premesse storiche e culturali. 

Leggere Lolita, dunque, non farà del male, anzi sarà un’occasione per farsi qualche domanda in più, per approfondire alcuni aspetti di noi, per conoscersi. Cambieremo idea mille volte su Humbert, per ritrovarci alla fine senza una riposta ma con più domande di prima.

Giuditta che decapita Oloferne, Artemisia Gentileschi. Firenze, Galleria degli Uffizi

I romanzi non sono pagine che impartiscono lezioni, che insegnano l’educazione e ci dicono cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. O meglio: non soltanto questo. I libri sono prima di tutto la possibilità che abbiamo di essere altro rispetto a quello che siamo, di sentire e desiderare cose che in questa vita non possiamo, anche se sono sbagliate. Leggere significa conoscere pezzi di realtà lontani da quelli che abbiamo sotto gli occhi; alcuni potranno spaventarci, infastidirci, ma molti accenderanno in noi la curiosità di saperne di più. La letteratura ci fornisce molti strumenti per orientarci nel mondo, affina la nostra capacità di interazione con gli altri, ma ci lascia liberi di scegliere come comportarci al di fuori delle pagine. Forse più non siamo in grado di dare un giudizio definitivo sui personaggi e su quello che accade, più il testo sta funzionando. Poiché la vita (come la letteratura) è troppo complessa per dividersi tra bene e male, giusto e sbagliato.

Autore

Nata e cresciuta nella periferia di Roma, sfuggita al destino di diventare un medico (come i miei genitori), sono approdata a Torino in una scuola di “Storytelling and Performing Arts”. Mangio storie e bevo prosecco. In camera ho appesi i poster di Montaigne. Credo nell’amore per il pensiero, nel potere dell’arte e nella bellezza delle parole.

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