Frigidaire: le sorprendenti avventure di Vincenzo Sparagna

o come finanziò la sua rivista grazie a 80 kili di hashish.

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Vincenzo Sparagna è stato il direttore editoriale di Frigidaire, fiore all’occhiello del fumetto italiano e fucina di creatività estrema. Insieme a personalità come Filippo Scòzzari, Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, Massimo Mattioli e Stefano Tamburini, ha il merito di aver ripensato il modo di fare editoria in maniera totalmente innovativa e fuori dagli schemi. In che modo? Ma anzitutto: che cos’era Frigidaire?

Frigidaire è stata una rivista culturale italiana di fumetti e inchieste giornalistiche, rubriche musicali e approfondimenti su tematiche d’attualità. Si caratterizzò da subito per la sua forte portata provocatoria: affianco ad una intervista di Norberto Bobbio poteva comparire uno scatto senza veli di Cicciolina o un nudo fotografico di Achille Bonito Oliva.

La redazione di Frigidaire al completo, febbraio 1982. Da sinistra in alto: Tanino Liberatore, Vincenzo Sparagna, Filippo Scòzzari e Massimo Mattioli; in basso: Stefano Tamburini e Andrea Pazienza

Nata dalle ceneri di Cannibale, esperienza editoriale underground frutto dell’ingegno di Tamburini, Frigidaire è stata come la luce di una stella lontana che viene dal futuro: un’esplosione caleidoscopica di colori sgargianti e forme mai viste, immagini psichedeliche e parole aliene, escursione incosciente in mondi artificiali ma anche attenzione lucida alla realtà politica dei tempi. Il tutto condito da massicce dosi di ironia:

Noi abbiamo cercato di essere fuori dalla cronaca quotidiana e dei suoi tempi obbligati, oltre le news… un soggetto mutante, attrezzato per anticipare, respingere, modificare, traversare le generazioni e le mode.

Chi è veramente Vincenzo Sparagna? Chi è veramente un editore?

Roger Chartier afferma che l’editore è come un’ostetrica il cui compito è portare alla luce un testo, che è come un bambino. Ma fino a che punto può spingersi un genitore per salvaguardare il proprio figlio? Cosa può essere in grado di fare quando viene messo alle strette?

Le risposte a queste domande le troviamo in FRIGIDAIRE. L’incredibile storia e le sorprendenti avventure della più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo, opera scritta dallo stesso Sparagna che ripercorre la genesi, l’ascesa, e il declino della rivista. Il ritratto che esce fuori dell’autore è quello di un problem-solver acuto e di un creativo senza precedenti, un «regista, o, se preferite, l’elettricista, il trovarobe, il facchino di questo viaggio spettacolo che è stato Frigidaire». Un factotum, dunque. Un imprenditore che non si tira indietro e che fa tutto quello che c’è da fare. Come quella volta che traversò il Mar Mediterraneo per acquistare 80 kilogrammi di hashish per ripagare un debito da 130 milioni di lire.

Peppe Quinto era un giovane dai capelli arancio, che viveva in una borgata romana e frequentava ogni tipo di persone. Era stato in prigione per il furto di un motorino, ma ne era uscito. Una sera, mentre eravamo a casa mia a fumare canne, ci venne da pensare che forse potevamo procurarci un po’ di soldi trafficando con l’hashish: fa meno male del tabacco e dell’alcol e non ha mai ammazzato nessuno. Avevo pubblicato già un paio di reportage sulle coltivazioni di hashish in Ketama ed io stesso ero stato laggiù qualche anno prima. Ricordavo quelle colline verdeggianti di Marijuana, attraversate su un autobus di linea. Peppe mi disse che che un suo amico fraterno, Gino, conosceva un contadino con una fattoria in Ketama, un certo Mohammed, sposato con una francese.

I due allora, armati di buoni propositi, si recano ad Ostia a cercare il loro uomo. Dopo averlo trovato stabiliscono che lui sarebbe andato in Marocco, si sarebbe fatto consegnare l’hashish da Mohammed e poi lo avrebbe trasportato fino a Ceuta. Peppe e Vincenzo avrebbero dovuto solamente caricarlo e portarlo via: narcotrafficanti per un giorno.

Decidono di utilizzare un gommone, perché una barca sarebbe stata rilevata dai radar delle frontiere. Ma come fa un gommone a viaggiare dall’Italia al Marocco, andata e ritorno? L’unica soluzione era partire dalla costa sud della Spagna, navigare un braccio di mare di circa 200 miglia e, una volta rientrati sul continente con l’hashish, tornare in Italia via terra.

Tre settimane dopo eravamo a Marbella, sulla costa orientale spagnola. Era estate, periodo di vacanze: yacht e velieri a centinaia. Chi avrebbe mai sospettato di un piccolo gommone con un banale motore fuoribordo? Partimmo mentre calava sulle onde una nerissima notte senza luna. Buio fitto, il mare e il cielo come il carbone. Per i turisti di Marbella eravamo due italiani amanti della pesca notturna. Noi invece puntammo dritti verso l’Africa.

Dopo aver viaggiato tutta la notte, e con le scorte di nafta in esaurimento, finalmente intravedono il profilo montuoso della catena di Atlante. Giunti a riva individuano tre ragazzi marocchini: eccoli lì, ottanta pacchi da un kilo di hashish, mattoncini color cioccolato fasciati di scotch. Completate le trattative i due fanno per ripartire ma non hanno più nafta per il ritorno. Questo è un bel problema.

«Nafta? No nafta, hashish di Mohammed okay, Mohammed vostro amico, ma nafta costa soldi, voi avete soldi?» Soldi? In mezzo al mare? Allora indicarono il nostro motore di riserva. «Motore buono». Io e Peppe ci guardammo. Senza nafta non si poteva tornare indietro, hashish o non hashish eravamo al largo di una sconosciuta spiaggia africana, a più di trecento chilometri dalla costa spagnola. Va bene, motore per nafta. Dieci taniche. Okay. «Aspettateci qui».

Giunta la notte i due ripartono, stanchissimi e completamente al buio.

Il gommone sfrecciava ballando. Intorno a noi, come siluri d’argento, branchi di delfini lasciavano scie di plancton luminescente. Di colpo, nero su nero, vidi una montagna enorme davanti alla prua. Una montagna? In mezzo al mare? Fermai il motore e svegliai Peppe. «Dove siamo?» Avevamo girato in tondo, eravamo ancora in Africa. Ripartimmo in direzione opposta a manetta. Notte da incubo, con un’orca a fare evoluzioni a poca distanza e il gommone che saltava come un grillo sulle onde buie di un mare che si agitava sempre di più. “

Finalmente, all’alba, la costa spagnola. Ad attenderli lì ci sono Gino con un suo amico. Velocemente si dividono gli ottanta kili, quaranta per coppia. Gino e Mario avrebbero venduto la loro parte di hashish per saldare il debito con Mohammed che gli aveva fatto credito.

Io e Peppe restammo con gli altri quaranta kili divisi nello zaino. Non potevamo certo prendere il treno. Così ci caricammo l’hashish sulle spalle e via a piedi per i sentieri pirenaici che si usavano al tempo della clandestinità contro Franco. Ci guidava un compagno di Barcellona, ex di Bandera Roja, che ci credeva impegnati in chissà quale azione rivoluzionaria segreta. Guai a dirgli che eravamo trafficanti di hashish dilettanti e che la nostra rivoluzione consisteva nel tenere in vita una rivista di fumetti. Alla fine, pagati i milanesi, a me e al caro Peppe restò il ricordo di quelle notti sul mare e qualche grammo di ottimo marocchino fresco da fumare dopo cena.

Frigolandia

Nel 2005 Vincenzo Sparagna ha fondato un luogo chiamato Frigolandia. Città immaginaria dell’Arte Maivista, un centro culturale polivalente situato a Giano dell’Umbria che raccoglie artisti, attori, fotografi, scrittori, giornalisti, nonché sessanta tonnellate di pubblicazioni – tra riviste e libri – che documentano le più avanzate ricerche nel campo del fumetto e della satira, dell’illustrazione e dell’arte degli ultimi quarant’anni. Il museo raccoglie circa tremila opere – tra tavole, disegni, quadri, sculture, fotografie – che sono state la base di svariate mostre di successo in tutta Italia. Dall’11 marzo combatte contro un’ordinanza di sgombero che trova la sua ragion d’essere in una presunta morosità insoluta.

A chi dovesse poi mostrare stupore o scandalizzarsi di certi episodi raccontati qui per la prima volta, faccio sommessamente notare che il confine tra legalità e illegalità non coincide con quello tra il giusto e l’ingiusto. Ciò che è legalmente perseguibile, può anche essere eticamente sostenibile. Cosa che non rende certo etica ogni azione illegale, ma permette di giudicarla in sé rispetto alla sua legittimità piuttosto che alla sua correttezza formale. Detto ciò, dichiaro prudentemente che i comportamenti che dovessero sembrarvi meritevoli di sanzioni giudiziarie sono certamente inventati…

Autore

Vengo al mondo lo stesso giorno di Virgilio, lo stesso anno di Enter The Wu-Tang. Bibliofilo, fumettomane, trekker, all’occorrenza festaiolo impavido.

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