La parola del mese: Generazione

In questa nuova rubrica mensile, vi proponiamo una riflessione su una parola sempre diversa scelta dalla nostra Redazione. 'Generazione' è la parola che il mese di dicembre porta con sé.

0% Complete

«Manate di parole essenziali senza alcun ordine convenzionale. Unica preoccupazione del narratore rendere tutte le vibrazioni del suo io» scriveva Marinetti nel 1913 in Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà, mettendo a nudo i limiti del linguaggio ed esaltando le potenzialità dell’espressionismo linguistico come mezzo per supplire all’ineffabilità del reale. Tradotto: ci sono momenti, situazioni e concetti che solo la poesia – o quella che il futurismo letterario canonizza come una destrutturazione sintattico-grammaticale che fa ricorso al suono e al simbolo per esprimersi – sembra avere la forza di evocare. Senza per ciò abdicare a ogni forma convenzionale di comunicazione. Quand’anche si voglia estremizzare i termini della questione e ragionare per assurdo, una considerazione si impone però come conseguente e necessaria: c’è un universo di significati e di sfumature di cui si carica una parola, un termine, già dotato di una specifica, o più comune, valenza semantica, in base anche alla soggettività di chi lo usa o al contesto in cui si colloca. Imparare a riconoscerli e spiegarli è quanto cercherò di fare, senza la presunzione di riuscirci e con la consapevolezza di lasciar spazio a valutazioni personali e sicuramente opinabili. E qui dichiaro chiusa la mia dichiarazione di intenti.

Dietro ogni cosa c’era sempre qualcosa; o, in altre parole, dietro ogni cosa c’era sempre qualcos’altro, e non quello che sembrava esserci a prima vista. Un’aura di sottintesi brillava dietro parole innocue… Niente era interamente compiuto in sé. Niente era semplice.

Leonard Michaels

Generazione

Generazione: gruppo di individui o individualità – non mi piacciono le omologazioni né le categorizzazioni che annientano le diversità – caratterizzata da un cronico senso di precarietà e incertezza che si riflette nella percezione del sé e dell’io, mutevole e problematico nel senso di costantemente in discussione ed esposto a sollecitazioni che ne minano la stabilità. 

Che forse l’unico generoso lascito alle ‘nuove generazioni’ sia un senso di precarietà e incertezza che ne stimola la riflessione attorno a identità, relazioni, ruoli non più percepibili come così compatti e monolitici? Boh. Forse è una deduzione errata e viziata da un rigorismo logico che cerca di cogliere cause ed effetto dove non esistono o forse è tanto banale e semplicistica quanto sbagliata. Mi spiego: credo – e uso la prima persona singolare unicamente allo scopo di ribadire l’assoluta opinabilità di quanto segue e la legittima possibilità di dissociarsene – che nel vuoto di prospettive e riferimenti che domina il presente si possa, con uno sforzo di immaginazione e come estremo atto di fede, riuscire anche a cogliere qualcosa di positivo: l’automatico ripiegamento su di sé e la crescita di una dimensione introspettiva di ragionamento, determinati da una precarietà generalizzata che agisce da concausa, hanno portato infatti a una problematicizzazione dell’io che si traduce sempre più spesso in una maggiore consapevolezza di sé come pure nel suo esatto contrario.

Costretti a confrontarsi con un senso di precarietà e incertezza diffuso ad ogni livello, i ‘giovani’ – che non si sa più chi siano perché anche il diritto a diventare adulti è svanito insieme ad ogni prospettiva e speranza di realizzazione – sono portati a riversare quello stesso tipo di fragilità sul piano personale-esistenziale. Detto altrimenti, condannati a vivere in un presente instabile – rectius, in cui non si capisce un cazzo – dove anche riuscire a comprendere chi si è può ritenersi un mezzo miracolo. E non a tutti riesce, anzi forse a nessuno. Ma è in questa tensione che la sensazione di essere presenti a sé stessi si fa più persistente.

Se un tempo la possibilità di aderire a modelli precostituiti rappresentava un’opzione, insieme rassicurante e frustrante, oggi anche quella possibilità sembra essersi dissolta in un mare di incertezza. Io non credo, come qualcuno sostiene, che questa sia la generazione più conformista di sempre. Abbiamo imparato infatti a trasformare i nostri modelli, compreso il modello di sé, in oggetti adatti a essere messi in discussione. Ed è proprio in questo sforzo di riconcentualizzazione dell’individualità che si può rintracciare sempre più spesso la causa di conflitti intrapsichici all’origine di ansia, stress e sensazione di perdita di controllo. Ma “è quando si hanno conflitti che la mente si attiva” ha detto una volta Galimberti parlando del conflitto vissuto dalla donna nella fase dello sviluppo, tra la percezione ideale di sé e la trasformazione fisica subita, che ne determina una automatica superiorità in termini di maturità rispetto ai coetanei dello stesso sesso (just to say).

È cavalcando l’onda delle incertezze che si scoprono e si aprono a esplorazioni dimensioni nuove in grado di ribaltare le nostre convinzioni più profonde. Come in una sorta di arena, questa sfera di incertezza ci offre in realtà l’occasione di scontrarci e misurarci con noi stessi. Si tratta, dunque, di capire meglio sia la varietà sia l’importanza dell’incertezza e riconoscere l’immenso valore aggiunto di trasformare le nostre incertezze e aspettative in potenzialità da sfruttare. 

La sensazione di instabilità, il futuro precario, fatto di idee identitarie che si trasformano, ci rendono migliori e più consapevoli. Siamo migliori perché siamo degli irrisolti e perché ne siamo consapevoli.

Abbiamo pagato troppo caro il prezzo per la ricerca di una nostra autenticità, che tutto quanto abbiamo fatto era giusto e lecito e sacrosanto perché lo si è voluto e questo basta a giustificare ogni azione, ma i tempi son duri e la realtà del quotidiano anche e ci si ritrova sempre a far i conti con qualche superego malamente digerito; che è tutta un’illusione, che non siamo mai state tanto libere come ora che conosciamo il peso effettivo dei condizionamenti.

Pier Vittorio Tondelli

Autore

Giulia Napolitano, nessun grado di parentela con l’ex Presidente della Repubblica (prima che qualcuno lo chieda). Orgogliosamente fiorentina, trapiantata nella città delle due Torri e attualmente all’ombra della Madonnina. Laureata in Giurisprudenza, ma oggi alle prese con il terribile mondo del giornalismo e solo per inseguire un sogno (in genere rifuggo questi sentimentalismi ma è la verità). È banale da dire ma amo leggere e viaggiare. Nel mondo a venire di Ben Lerner uno dei più bei romanzi che abbia letto di recente, quello in Cina uno dei più bei viaggi che abbia fatto.

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi