Le multinazionali guadagnano sui vaccini: Gino Strada, una voce contro questa speculazione

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Sta facendo parlare di sé e dei suoi modi, ancora una volta, Gino Strada, che, ogni tanto, appare in tv o su una pagina di giornale, sempre con la sua chioma bianca e la barba folta, sempre con l’aspetto di un rivoluzionario. In realtà, Gino Strada è prima di tutto un medico, poi un medico rivoluzionario: uno dei primi che in Italia è riuscito a svincolare il sostegno per il prossimo dalla morale cristiana e a battersi per una sanità egualitaria.

Come proprietario di una ONG, che presta servizio umanitario specialmente nelle zone di conflitto, Strada più volte si è scagliato contro i crimini di guerra. In quanto cittadino italiano il fondatore di Emergency più volte ha diffamato i diversi governi, dagli esecutivi di Berlusconi alle presidenze del consiglio di D’Alema, Prodi, Letta, Renzi e Conte. Ora la sua preoccupazione è la distribuzione dei vaccini nel mondo. 

«La diffusione dei vaccini non può essere legata alla logica del profitto»

Questa volta il “nemico” del fondatore di Emergency è Pfizer, la multinazionale che ha sviluppato i vaccini occidentali contro il Covid. La richiesta di Strada è tanto semplice quanto utopica: abbandonare la logica del profitto e preoccuparsi soltanto della massima diffusione possibile del vaccino. 

Liberare la licenza del vaccino consentirebbe a molti stabilimenti, anche in Italia, di produrlo in grande quantità e di accelerare notevolmente i tempi per arrivare a una copertura di gregge, in Europa e nel resto del mondo. Non dimentichiamo che a restare indietro, al momento, sono soprattutto i Paesi poveri. Le multinazionali dovrebbero rendere pubbliche le licenze.

Non è poi una soluzione così utopica, se consideriamo che nella storia ci sono già stati casi di chi ha deciso di diffondere gratuitamente i risultati delle proprie ricerche, come nel caso di Jonas Salk, inventore del vaccino per la poliomielite, che, alla domanda dei giornalisti sul perché avesse deciso di non brevettare la sua scoperta, cosa che lo avrebbe reso uno degli uomini più ricchi della sua epoca, aveva risposto: «Si può forse brevettare il Sole?». 

Jonas Salk, 1956

Su questa linea prosegue, dunque, la polemica lanciata da Gino Strada, accresciuta negli ultimi tempi in seguito alla notizia per cui la produzione di dosi del vaccino sia diminuita drasticamente: è a rischio il richiamo per 1/3 dei pazienti che hanno ricevuto la somministrazione della prima dose. In Italia, infatti, l’entrata di vaccini è diminuita di oltre il 20% nelle ultime settimane. 

Il motivo di questo rallentamento nella diffusione dei vaccini sembra essere dovuto a un calo produttivo dello stabilimento di Puurs, in Belgio, dove sono in corso interventi per potenziare gli impianti. Non mancano, però, osservatori più scettici, i quali non escludono che la multinazionale americana stia vendendo, di volta in volta, i vaccini al miglior offerente. 

Stabilimento di Puurs in Belgio, unico produttore di unità Pfizer in Europa

Questa, che sembrerebbe solo una remota possibilità, è in realtà sempre più certezza, soprattutto dopo la diffusione dei dati riguardo il costo delle dosi di vaccino che ogni Paese sarebbe stato disposto a pagare: Israele 28 $ a dose, USA 19,50 $ a dose e UE 14,50 $ a dose. Potrebbe essere proprio questo accordo tanto vantaggioso strappato alla Pfizer dai Paesi dell’Unione Europea il motivo del ritardo nella consegna delle dosi e la scelta del colosso di dare la precedenza a chi è stato disposto a sborsare di più, rendendo mai così vero l’antico detto “Chi non può pagare, preghi”. 

L’asta dei vaccini: il capitalismo neoliberale non conosce giustizia sociale

Non solo. Stando alle regole del gioco, dettate dal capitalismo di stampo neoliberale, è possibile contrattare per la distribuzione del vaccino come in una vera e propria asta immobiliare: Israele avrebbe ottenuto le dosi più rapidamente di tutti gli altri accordando con la Pfizer un grande passaggio di dati sulle vaccinazioni avvenute, dati quali nome e cognome, genere, storia medica ecc. di coloro sottoposti al vaccino. Le organizzazioni per la privacy hanno obbligato il governo a rendere noto l’accordo per una questione di trasparenza, ma ancora le modalità non sono chiare a tutti.

Gino Strada, dal canto suo, mette in risalto una questione quasi scontata: in questo modo si rischia di rallentare l’immunizzazione di gregge e di creare delle situazioni estremamente pericolose nelle aree più povere del pianeta. Sembra di essere tornati a quella, tanto spaventosa quanto mai come oggi possibile, teoria del liberalismo anarchico, avanzata sul piano sanitario da Norzick, per cui lo Stato deve disinteressarsi della salute dei suoi cittadini poiché questa va affidata alle leggi del mercato economico.

Il punto riguarda la natura del sistema economico e politico che governa gran parte dell’Occidente e tendenzialmente, in maniera indiretta, anche molti dei Paesi sottosviluppati (spesso non considerati nei loro diritti e nella loro autoaffermazione, ma piuttosto come beneficiari di “opere di bene” da parte delle grandi potenze “caritatevoli”). 

Ma Pfizer è legittimata a fare quello che vuole con il vaccino

Bisogna dunque tenere a mente che, per quanto possa essere umanamente giusta la proposta di Strada, in una democrazia liberale di stampo capitalista la volontà di Pfizer di non diffondere la licenza per la produzione del vaccino rimane legittima.

È proprio su questo sistema che si interroga Strada, ponendo nel concreto una questione relativa al brevetto vaccinale, ma, politicamente e filosoficamente, mettendo in discussione molto di più. Si tratta della legittimità di un organo politico competente di poter porre delle direttive alle multinazionali, limitarne o indirizzarne il campo d’azione. 

Se da una parte resta il dubbio che a mettere in crisi i grandi colossi del mercato sanitario possano essere le singole nazioni nella loro autonomia, l’ipotesi che delle organizzazioni sovranazionali, con un forte potere decisionale in un momento di crisi sanitaria come quello che stiamo vivendo, vengano investite di un “diritto di veto”, ovvero della capacità di opporsi alle sfrenate e spregiudicate libertà delle plurimiliardarie case farmaceutiche, sembra spaventare i grandi investitori, ma anche rappresentare una nuova frontiera della politica mondiale.

Nei fatti, Gino Strada ha parlato di rendere pubblici i dati sulla realizzazione del vaccino, rendendone così possibile la produzione in un numero esponenzialmente maggiore di centri:

Qui sorge un problema politico internazionale enorme. Chi deve essere a decidere: i governi oppure i consigli d’amministrazioni di queste multinazionali? Nessuno è al sicuro finché non sono tutti al sicuro. Si aumentino nel mondo i centri di produzione.

Un vaccino solo per le nazioni ricche non serve a niente

Quella di cui parla Strada è una vera e propria rinuncia al profitto, una rinuncia al plusvalore con cui il mercato si arricchisce, in nome di un principio superiore, quello del diritto alla sanità e alle cure mediche. Se allarghiamo infatti lo sguardo, spostandoci dalla già critica situazione europea, ci accorgiamo infatti che la maggior parte dei Paesi del continente africano e sud-americano sono sostanzialmente impossibilitati ad accedere alle cure anti-Covid, proprio per via di questa “gara d’appalto” costituitasi per le regole del libero mercato Occidentale. 

A denunciare la situazione non è solo Strada, ma numerosi studiosi e attivisti del mondo della medicina, come Vittorio Agnoletto, di Medicina Democratica, un movimento che ha come obbiettivo quello della diffusione delle cure per tutti, attraverso la campagna “Right2 cure, farmaci e vaccini per tutti”, lanciata il 1° dicembre 2020 in occasione della Giornata mondiale di lotta all’Aids e che, ad oggi, ha raccolto già un milione di firme in tutta Europa.

Un nuovo modo di ripensare la medicina, dunque, ma anche i diritti fondamentali dell’uomo: il diritto alla vita, alla sicurezza sociale, alla dignità, al benessere individuale. 

Autore

Maria Chiara Cicolani

Maria Chiara Cicolani

Vice Direttrice

Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.

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